SignificatoIn mitologia, mostro sputafuoco con testa e corpo di leone, una seconda testa, di capra, sulla schiena e un serpente per coda; illusione, fantasticheria vana
Etimologia dal greco: chimaira capra.
Dall’immagine del terrificante mostro mitologico, si dipanano due denotazioni diverse di questa parola: se da un lato la chimera resta paradigma del mostro, dall’altro diventa paradigma anche del vaneggiamento, della fantasticheria. Insomma, creatura spaventosa, creatura che non esiste.
Proprio per questo, sebbene possa essere usata alternativamente in entrambi i sensi, acquista un’efficacia unica quando usata per indicarli contemporaneamente.
Sarà una chimera la minaccia inconsistente ma ingombrante di attacchi terroristici; sarà una chimera la terrifica pandemia annunciata di una qualche influenza animale con zerovirgola casi accertati; per il fondamentalista di turno in corsa per chissà quale carica presidenziale l’inquinamento e i mutamenti climatici saranno chimere ridicole - e il complottista tenterà di stanare le oscure chimere che reggono le fila del mondo.
Nota mitologica extra: chi era la Chimera?
Tifone, figlio di Gea, la terra, e Tartaro, l’inferno, fu un mostro terrificante, potentissimo e screanzato che tentò di far fuori Zeus - e quasi ci riuscì, durante uno di quegli scontri epici in cui ci si tirano dietro intere montagne e folgori grassissime. Sua moglie fu Echidna, donnona ugualmente mostruosa, con cui figliò molto. Fra i pargoli nati da questa unione benedetta ricordiamo l’Idra, Cerbero e la stessa Chimera. Le foto di famiglia erano un amore.
La Chimera si stabilì nella Licia, nel sud ovest dell’odierna Turchia. Qui imperversava, sputando fuoco, depredando le città degli uomini e facendo stragi. L’unico che riusciva a tenerla a bada - precursore di San Francesco - era il mansueto Amisodaro, ricco possidente che la rimpinzava di leccornie causandole poderosi abbiocchi postprandiali.
La risoluzione del problema arrivò con Bellerofonte, grande eroe che giunse in Licia per una macchinazione del perfido re Preto di Tirinto: questi, infatti, aveva ordinato al re licio Ilobate di ucciderlo. Ma Ilobate era un uomo onesto, e legato ai valori dell’ospitalità, così non obbedì a Preto - o meglio, non direttamente. Infatti se la cavò domandando a Bellerofonte di uccidere la Chimera. Quale modo migliore per far fuori l’eroe senza sporcare di sangue i pavimenti della reggia?
Ma Bellerofonte era un tosto. Con l’aiuto di Atena fregò Pegaso a Zeus e si fiondò dal mostro sputafuoco: infatti, proprio per l’attitudine della Chimera a vomitare fiumi di fiamme era difficile avvicinarsi. Il prode, attaccandola dall’alto le scagliò contro la sua lancia dalla punta di piombo: questa le si sciolse in bocca come un cioccolatino e la uccise.
Comunque Bellerofonte riuscì sempre ad eludere gli altri tentativi che Ilobate fece per farlo morire, tanto che alla fine il re gli offrì in sposa sua figlia.
Tutto filò liscio finché Bellerofonte non si mise in testa di voler superbamente ascendere all’olimpo. In quell’occasione, una caduta da cavallo voluta dagli dèi lo rese per sempre infermo. E gli andò bene, anche perché il cavallo era ancora Pegaso.
Dall’immagine del terrificante mostro mitologico, si dipanano due denotazioni diverse di questa parola: se da un lato la chimera resta paradigma del mostro, dall’altro diventa paradigma anche del vaneggiamento, della fantasticheria. Insomma, creatura spaventosa, creatura che non esiste.
Proprio per questo, sebbene possa essere usata alternativamente in entrambi i sensi, acquista un’efficacia unica quando usata per indicarli contemporaneamente.
Sarà una chimera la minaccia inconsistente ma ingombrante di attacchi terroristici; sarà una chimera la terrifica pandemia annunciata di una qualche influenza animale con zerovirgola casi accertati; per il fondamentalista di turno in corsa per chissà quale carica presidenziale l’inquinamento e i mutamenti climatici saranno chimere ridicole - e il complottista tenterà di stanare le oscure chimere che reggono le fila del mondo.
Nota mitologica extra: chi era la Chimera?
Tifone, figlio di Gea, la terra, e Tartaro, l’inferno, fu un mostro terrificante, potentissimo e screanzato che tentò di far fuori Zeus - e quasi ci riuscì, durante uno di quegli scontri epici in cui ci si tirano dietro intere montagne e folgori grassissime. Sua moglie fu Echidna, donnona ugualmente mostruosa, con cui figliò molto. Fra i pargoli nati da questa unione benedetta ricordiamo l’Idra, Cerbero e la stessa Chimera. Le foto di famiglia erano un amore.
La Chimera si stabilì nella Licia, nel sud ovest dell’odierna Turchia. Qui imperversava, sputando fuoco, depredando le città degli uomini e facendo stragi. L’unico che riusciva a tenerla a bada - precursore di San Francesco - era il mansueto Amisodaro, ricco possidente che la rimpinzava di leccornie causandole poderosi abbiocchi postprandiali.
La risoluzione del problema arrivò con Bellerofonte, grande eroe che giunse in Licia per una macchinazione del perfido re Preto di Tirinto: questi, infatti, aveva ordinato al re licio Ilobate di ucciderlo. Ma Ilobate era un uomo onesto, e legato ai valori dell’ospitalità, così non obbedì a Preto - o meglio, non direttamente. Infatti se la cavò domandando a Bellerofonte di uccidere la Chimera. Quale modo migliore per far fuori l’eroe senza sporcare di sangue i pavimenti della reggia?
Ma Bellerofonte era un tosto. Con l’aiuto di Atena fregò Pegaso a Zeus e si fiondò dal mostro sputafuoco: infatti, proprio per l’attitudine della Chimera a vomitare fiumi di fiamme era difficile avvicinarsi. Il prode, attaccandola dall’alto le scagliò contro la sua lancia dalla punta di piombo: questa le si sciolse in bocca come un cioccolatino e la uccise.
Comunque Bellerofonte riuscì sempre ad eludere gli altri tentativi che Ilobate fece per farlo morire, tanto che alla fine il re gli offrì in sposa sua figlia.
Tutto filò liscio finché Bellerofonte non si mise in testa di voler superbamente ascendere all’olimpo. In quell’occasione, una caduta da cavallo voluta dagli dèi lo rese per sempre infermo. E gli andò bene, anche perché il cavallo era ancora Pegaso.