Ego
é-go
Significato Varietà linguistica: sardo — ‘Io’
Etimologia dal latino ego ‘io’.
Parola pubblicata il 22 Settembre 2025
Dialetti e lingue d'Italia - con Carlo Zoli
L'italiano è solo una delle lingue d'Italia. Con Carlo Zoli, ingegnere informatico che ha dedicato la vita alla documentazione e alla salvaguardia di dialetti e lingue minoritarie, a settimane alterne esploriamo una parola di questo patrimonio fantasmagorico e vasto.
In latino ‘io’ si diceva ego. È una parola che per via dotta e in ambiti specialistici si continua a usare, pensiamo alla psicanalisi e al modo in cui il suo lessico percola nel discorso comune (ma anche ai suoi composti, dall’egoista all’egocentrico).
Ora, in gran parte del mondo romanzo probabilmente si passò piuttosto presto da dire ego a dire eo. E dalla forma eo si è passati in modo regolare a io esattamente come da meu(m) a mio, da Deu(m) a Dio, e da reu(m) a rio, parola ormai quasi dimenticata che significa ‘malvagio’. Una versione intermedia, che avrà suonato più o meno /ieo/ ha dato luogo al francese je, allo spagnolo yo, ecc.
La Sardegna, come spesso succede, fa storia linguistica a sé: in certe zone interne della Barbagia ‘io’ si dice ancora, pari pari, ego, caso unico in tutto il mondo romanzo. Ricordo un amico di Ollolai che alla richiesta di una collaborazione mi disse con grande cortesia «l’apo a facher ego!» (‘lo farò io!’). Non sappiamo come suonasse il latino popolare parlato, e sarà cambiato ovviamente col passare dei secoli, ma questa frase in sardo barbaricino non è di certo troppo diversa da come l’avrebbe pronunciata un veterano romano mandato del I secolo a. C. in quelle – per lui all’epoca – remote e barbare plaghe (ancora la zona si chiama Barbagia e il dialetto barbaricino): (il)lu habeo ad facere ego. È curioso come l’isolamento culturale e geografico di quelle zone abbia dato luogo a un conservatorismo linguistico che ci consegna per così dire dei ‘fossili linguistici viventi’ . Anche in Sardegna però un po’ di evoluzione c’è poi stata, e oggi, nella maggior parte delle parlate sarde, ‘io’ si dice deo, che si ritiene derivare da et eo < et ego (letteralmente ‘anch’io’).
Ma c’è un’altra questione che l’ego ci può far toccare.
‘Ci penso me!’: in italiano e nei dialetti centro-meridionali non si può dire una frase corrispondente a questa. Insomma, me può solo avere la funzione di complemento, usando la terminologia dell’analisi logica scolastica. Ma invece in quasi tutti i dialetti del nord Italia (escludendo certe varietà alpine), ego è scomparso come parola autonoma ed è stato totalmente soppiantato da me/mi anche in funzione di soggetto: ghe pensi mi! Ed è quell’-i di pensi l’unico residuo, ridotto ormai a una desinenza non autonoma, dell’ego (> ieo > io) altrimenti scomparso.
Sappiamo, da dati linguistici, che alcune località della Sicilia (la più nota delle quali è San Fratello in provincia di Messina) furono ripopolate nel medioevo da coloni del nord Italia; qualunque abitante della Sicilia sa che in questi paesi si parla in effetti un dialetto stranissimo rispetto a quello dei paesi vicini. Ebbene, questi dialetti ‘gallo-italici di Sicilia’, così sono chiamati, usano ancora ego (in forma ovviamente modificata foneticamente) e non mi. Questo ci fa capire che questi gruppi hanno abbandonato la Pianura Padana alla volta della Sicilia prima che nelle loro zone d’origine si perdesse ego a favore di mi, e se dalla documentazione letteraria sappiamo che la perdita di ego nei dialetti piemontesi e lombardi si è completata in una certa epoca, ecco che possiamo dire con relativa certezza che quelle popolazioni si devono essere mosse da là prima di quell’epoca. Una volta giunti in Sicilia, l’isolamento ha tagliato fuori queste popolazioni dalle innovazioni linguistiche avvenute nella madrepatria: laggiù ego è stato mantenuto e lo troviamo ancora oggi. È interessante, per lo studioso, vedere come questi cambiamenti linguistici sono dei veri e propri cronometri storici che guidano nella datazione delle migrazioni: ancora vediamo come la lingua non è solo un patrimonio culturale, è essa stessa un documento storico e permette di fare carotaggi al pari dell’archeologia o della genetica.