SignificatoPreciso, senza errori, accurato, proporzionato; strettamente conforme a un modello; esattamente
Etimologia voce dotta recuperata dal latino exactus, propriamente participio passato del verbo exìgere nel senso di ‘misurare, pesare con precisione’.
Molte persone conoscono questa curiosità: il participio passato di ‘esigere’ non è ‘esigito’ né ‘esigiuto’, ma ‘esatto’. E per quanto suoni inusuale è tutt’altro che bizzarro, visto che il participio passato del latino exigere è proprio exactus. Ma com’è che questo esatto-participio, che evoca somme da pagare, imposte, cartelle esattoriali che imperlano la fronte di sudori freddissimi, si lega all’esatto-aggettivo che ci racconta una galassia di precisione ed armonia? Forse perché viene severamente esatta la cifra esatta da pagare? Non proprio.
Per capire bene dobbiamo fare i conti con il verbo latino exigere: affermare che vuole dire anche ‘esigere’ è come dire che al pranzo di Natale ci sono anche le olive. Exigere ha una mole di significati semplicemente impressionante: l’immagine fondamentale è quella del ‘far uscire fuori’, poiché è derivato del verbo agere ‘condurre’, col prefisso ex-, che vuol dire appunto ‘fuori’. Da qui si avvicendano in una linea bella come un viale di cipressi lo scacciare, il vendere, il lanciare, il trapassare, il rimuovere, l’essere fischiati a teatro (fin qui lo ‘spinger fuori’ è molto concreto), e poi il compiere, il trascorrere, il pretendere e il riscuotere, il sovrintendere, il giudicare, il misurare, il conformare: così il ‘portare fuori’ diventa un ‘portare in fondo’, alla luce, a un esito, a una decisione, a una misura completa, alla corrispondenza di un modello. Un verbo davvero gigantesco.
Si capisce bene che l’exactus aveva una portata immensamente superiore all’esatto nella veste di participio passato di esigere. Un calcolo esatto, una considerazione esatta sono portati al loro misurato, ideale compimento; una traduzione, una copia esatta sono spinti al limite preciso del modello a cui si riferiscono; un chilo esatto, mezzogiorno esatto sono portati in fondo alla loro più sottile ponderazione, senza la sbavatura di un’approssimazione trattenuta o allungata.
Tant’è che l’esatto diventa anche l’armonioso: al parco vediamo ragazzi che si allenano con movimenti forti ed esatti, i tratti esatti del disegno della pittrice non sono solo sicuri, ma colgono proporzioni intime. E una persona esatta ha lo scrupolo di giungere a una precisione armonica, di portare i propri compimenti al grado della giusta misura.
Ma quindi l’esatto-participio, pur avendone la stessa forma, è nipote striminzito dell’esatto-preciso, derivato diretto dell’exactus di cui ancora conserva la primigenia complessità? Esatto.
Molte persone conoscono questa curiosità: il participio passato di ‘esigere’ non è ‘esigito’ né ‘esigiuto’, ma ‘esatto’. E per quanto suoni inusuale è tutt’altro che bizzarro, visto che il participio passato del latino exigere è proprio exactus. Ma com’è che questo esatto-participio, che evoca somme da pagare, imposte, cartelle esattoriali che imperlano la fronte di sudori freddissimi, si lega all’esatto-aggettivo che ci racconta una galassia di precisione ed armonia? Forse perché viene severamente esatta la cifra esatta da pagare? Non proprio.
Per capire bene dobbiamo fare i conti con il verbo latino exigere: affermare che vuole dire anche ‘esigere’ è come dire che al pranzo di Natale ci sono anche le olive. Exigere ha una mole di significati semplicemente impressionante: l’immagine fondamentale è quella del ‘far uscire fuori’, poiché è derivato del verbo agere ‘condurre’, col prefisso ex-, che vuol dire appunto ‘fuori’. Da qui si avvicendano in una linea bella come un viale di cipressi lo scacciare, il vendere, il lanciare, il trapassare, il rimuovere, l’essere fischiati a teatro (fin qui lo ‘spinger fuori’ è molto concreto), e poi il compiere, il trascorrere, il pretendere e il riscuotere, il sovrintendere, il giudicare, il misurare, il conformare: così il ‘portare fuori’ diventa un ‘portare in fondo’, alla luce, a un esito, a una decisione, a una misura completa, alla corrispondenza di un modello. Un verbo davvero gigantesco.
Si capisce bene che l’exactus aveva una portata immensamente superiore all’esatto nella veste di participio passato di esigere. Un calcolo esatto, una considerazione esatta sono portati al loro misurato, ideale compimento; una traduzione, una copia esatta sono spinti al limite preciso del modello a cui si riferiscono; un chilo esatto, mezzogiorno esatto sono portati in fondo alla loro più sottile ponderazione, senza la sbavatura di un’approssimazione trattenuta o allungata.
Tant’è che l’esatto diventa anche l’armonioso: al parco vediamo ragazzi che si allenano con movimenti forti ed esatti, i tratti esatti del disegno della pittrice non sono solo sicuri, ma colgono proporzioni intime. E una persona esatta ha lo scrupolo di giungere a una precisione armonica, di portare i propri compimenti al grado della giusta misura.
Ma quindi l’esatto-participio, pur avendone la stessa forma, è nipote striminzito dell’esatto-preciso, derivato diretto dell’exactus di cui ancora conserva la primigenia complessità? Esatto.