Etimologia da preterire, col prefisso negativo in-; quello è voce dotta recuperata dal latino praeterire ‘passare oltre, omettere’, composto di praeter ‘al di là’ e ire ‘andare’.
Giocando a briscola, il prozio Giovanni raccomandava di fare punti con le carte di minor valore possibile: quando arriverà il momento in cui c’è da giocare il tre di briscola o l’asso, lo riconosceremo. Con le parole non funziona in maniera troppo diversa — il momento in cui c’è da tirare giù una briscola pesante arriva.
‘Impreteribile’ è una parola che sgomenta. Perbacco, che cosa mai vorrà dire, che roba è? Quello che si riesce a decifrare facilmente è solo che si tratta... di una qualità di qualcosa che non-si-può qualcos’altro. Non molto. In effetti il cuore di questo termine, per quanto non astruso, non ce l’abbiamo solitamente in punta di cervello: è il verbo ‘preterire’ — e anch’esso ci può lasciare nello sgomento (preferire? sarà qualcosa che fa il prete?). Ma continuiamo a dividere.
Praeter è un elemento latino che significa ‘al di là’, quello che ritroviamo nel preterintenzionale e nel preternaturale italiani, per dire. Ire, invece, è l’andare. Il latino praeterire, e il preterire italiano, sono dei ‘passare oltre’, che prendono la sfumatura di un ‘omettere, tralasciare’. E non c’è da aggiungere che è la stessa base della figura retorica della preterizione! (Occhiolino.)
Fatte queste analisi, l’impreteribile diventa tanto più semplice da capire. È la qualità di ciò che non può essere omesso, trascurato. E ci si palesa subito un suo grande pregio: non ha sinonimi.
Di solito usiamo delle perifrasi, il che funziona, ma avere una parola singola che regge il concetto ci permette di inchiodarlo nella frase — trasmette un profondo senso di dominio, specie nella valutazione fra ciò che può e non può essere preterìto. Vediamo l’effetto?
Riprendiamo il collega che sta raccontando lo svolgimento dei fatti, aggiungendo dei particolari impreteribili. Ci dedichiamo ai lavori in giardino o in casa iniziando da alcuni aggiustamenti impreteribili. Asseriamo come nel programma debbano essere inseriti dei punti impreteribili — e che poi sarà impreteribile la loro realizzazione.
L’imperdibile è enfatico, e marezzato di divertimento; il necessario è tanto categorico quanto vago; l’indispensabile sa anche avere una sua leggerezza — pensiamo alle ricette per cui l’olio buono è indispensabile. Se mettiamo insieme un ‘intrascurabile’, posto che è senza tradizione, non è detto che la figura riesca bene.
L’impreteribile, da bel latinismo di sapore forte, ha una profonda serietà (utile al serio e al faceto). È radicalmente allusivo, perché dichiarare saldamente che ‘non si può passare oltre’ adombra un perché pesante — questo concorre anche all’impressione di intelligenza, di lettura delle cose. Ed è a un tempo calmo, olimpico, non si affanna dietro la necessità, si limita a piantare un’improcedibilità.
È una parola di significato non difficile e molto pregnante, ma poco usata e poco intelligibile da chi non la conosca. Anche qui sta il gioco di potere della lingua, l’opportunità di usare una parola del genere al momento giusto: è fondamentale esprimersi con parole che arrivino, ma saper perorare una richiesta impreteribile davanti a chi sembra non ci voglia ascoltare esercita la magia antica e potente della lingua dotta e della sua soggezione.
Giocando a briscola, il prozio Giovanni raccomandava di fare punti con le carte di minor valore possibile: quando arriverà il momento in cui c’è da giocare il tre di briscola o l’asso, lo riconosceremo. Con le parole non funziona in maniera troppo diversa — il momento in cui c’è da tirare giù una briscola pesante arriva.
‘Impreteribile’ è una parola che sgomenta. Perbacco, che cosa mai vorrà dire, che roba è? Quello che si riesce a decifrare facilmente è solo che si tratta... di una qualità di qualcosa che non-si-può qualcos’altro. Non molto. In effetti il cuore di questo termine, per quanto non astruso, non ce l’abbiamo solitamente in punta di cervello: è il verbo ‘preterire’ — e anch’esso ci può lasciare nello sgomento (preferire? sarà qualcosa che fa il prete?). Ma continuiamo a dividere.
Praeter è un elemento latino che significa ‘al di là’, quello che ritroviamo nel preterintenzionale e nel preternaturale italiani, per dire. Ire, invece, è l’andare. Il latino praeterire, e il preterire italiano, sono dei ‘passare oltre’, che prendono la sfumatura di un ‘omettere, tralasciare’. E non c’è da aggiungere che è la stessa base della figura retorica della preterizione! (Occhiolino.)
Fatte queste analisi, l’impreteribile diventa tanto più semplice da capire. È la qualità di ciò che non può essere omesso, trascurato. E ci si palesa subito un suo grande pregio: non ha sinonimi.
Di solito usiamo delle perifrasi, il che funziona, ma avere una parola singola che regge il concetto ci permette di inchiodarlo nella frase — trasmette un profondo senso di dominio, specie nella valutazione fra ciò che può e non può essere preterìto. Vediamo l’effetto?
Riprendiamo il collega che sta raccontando lo svolgimento dei fatti, aggiungendo dei particolari impreteribili. Ci dedichiamo ai lavori in giardino o in casa iniziando da alcuni aggiustamenti impreteribili. Asseriamo come nel programma debbano essere inseriti dei punti impreteribili — e che poi sarà impreteribile la loro realizzazione.
L’imperdibile è enfatico, e marezzato di divertimento; il necessario è tanto categorico quanto vago; l’indispensabile sa anche avere una sua leggerezza — pensiamo alle ricette per cui l’olio buono è indispensabile. Se mettiamo insieme un ‘intrascurabile’, posto che è senza tradizione, non è detto che la figura riesca bene.
L’impreteribile, da bel latinismo di sapore forte, ha una profonda serietà (utile al serio e al faceto). È radicalmente allusivo, perché dichiarare saldamente che ‘non si può passare oltre’ adombra un perché pesante — questo concorre anche all’impressione di intelligenza, di lettura delle cose. Ed è a un tempo calmo, olimpico, non si affanna dietro la necessità, si limita a piantare un’improcedibilità.
È una parola di significato non difficile e molto pregnante, ma poco usata e poco intelligibile da chi non la conosca. Anche qui sta il gioco di potere della lingua, l’opportunità di usare una parola del genere al momento giusto: è fondamentale esprimersi con parole che arrivino, ma saper perorare una richiesta impreteribile davanti a chi sembra non ci voglia ascoltare esercita la magia antica e potente della lingua dotta e della sua soggezione.