Karma
càr-ma
Significato Nella religione e filosofia indiana, influsso delle azioni compiute sul ciclo della reincarnazione
Etimologia dal sanscrito कर्मन् , karman, ‘azione, risultato, causa che porta a determinati effetti, fato nel senso di conseguenza delle azioni delle vite precedenti’.
Parola pubblicata il 19 Aprile 2019
Sanscrito italiano - con Mauro Aresu
Parole sanscrite entrate in italiano, parole italiane che richiamano il sanscrito: dopo il ciclo sulle figure retoriche, Mauro Aresu, giovane studente di lettere classiche, ci propone un tuffo in una delle interazioni linguistiche più fascinose, fra mode contemporanee e suggestioni primigenie.
Eh, il karma. Noi ci immaginiamo un qualcosa del tipo “se oggi copio la versione di greco e prendo 10, domani mi interroga a sorpresa in biochimica e mi becco un 3”, una sorta di mano gigante e invisibile che sta lì, pronta a prenderci e spostarci uno a uno per indirizzarci verso ciò che ci spetta considerate le nostre azioni passate. Più o meno ci siamo, ma di preciso che cosa è – ed era – questo karma?
कर्मन् (karman) è in sanscrito l’atto: il termine è legato al greco κραίνω (kràino), che significa “fare, ottenere, portare a compimento”, e al latino creo, che ha lo stesso significato; indica il prodotto del verbo कृ (kṛ, in cui la r col puntino sotto ha valore quasi vocalico, un po’ come la r in Trst, il nome in sloveno della città di Trieste), il cui significato è “creare”. Il karman è dunque un qualcosa che viene creato tramite l’azione.
Originariamente il termine indicava l’atto religioso, essendo quest’ultimo l’azione più importante legata al brahmano, membro della casta sacerdotale induista. Successivamente, però, ha cominciato a designare l’azione propria non solo del brahmano, ma anche degli appartenenti alle altre caste. Al karma, poi, bisogna legare anche il concetto di धर्म (dharma), che potremmo definire come il dovere proprio di ciascuno: i sacerdoti devono fare i sacerdoti, i guerrieri devono fare i guerrieri e così via; meglio che un sacerdote sia un sacerdote mediocre, piuttosto che un guerriero eccellente, perché ciò che conta è la fedeltà al proprio dovere. Karma e dharma son come le due catene del DNA di un uomo, e ciò che unisce le due catene è il suo destino – anche se citare il destino, che noi consideriamo spesso immodificabile e ineluttabile, non è proprio corretto.
Ecco quindi il karma: può essere positivo, ma anche negativo, ed è il bagaglio di ciò che siamo e facciamo. A buone azioni (attenzione: non dal punto di vista morale! Un guerriero deve seguire il proprio dharma, e inevitabilmente, per lui, l’uccisione del nemico sarà una buona azione) corrisponde un karma positivo, e il karma positivo, nella dottrina della reincarnazione, corrisponde a un’elevazione sempre maggiore di vita in vita fino alla perfezione (corrispondente alla “estinzione” del debito karmico), che si esplica nell’illuminazione e abbandono dei corpi materiali per unirsi allo spirito.
È dunque ben più complesso dell’esempiucolo a tema liceale proposto all’inizio: non un semplice “se fai da cattivo ti arriva una mazzata fra tre giorni”, ma una vera e propria legge che regola ciascun uomo e ciascuna cosa legata all’uomo e determina non, banalmente, il corso della sua vita, ma quello delle sue vite.