Librettista
li-bret-tì-sta
Significato Autore di testi poetici con destinazione musicale, di solito operistica
Etimologia da libretto, diminutivo di libro, proprio perché solitamente di piccolo formato.
Parola pubblicata il 13 Ottobre 2024
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Comunemente, il termine libretto è accompagnato da una specificazione d’uso: postale, universitario, di circolazione, e via dicendo. Ma se si parla di libretto e basta, è il libretto d’opera, vademecum prezioso per lo spettatore, ausilio per seguire trama e dialoghi, soprattutto se celati da vertiginose acrobazie vocali che rendono difficile comprendere il senso delle parole. Il librettista è l’autore del libretto.
Quest’ultimo, inteso come oggetto fisico e come complemento di supporto per godere appieno della rappresentazione operistica, nasce in Italia nel 1598 con la prima opera, la Dafne di Iacopo Peri composta sui versi del nobile fiorentino Ottavio Rinuccini. Quel prototipo riportava, oltre al testo, scarni dettagli sulla rappresentazione; il nome del compositore della musica non figurava e nemmeno quello degli esecutori. Rinuccini fu il primo librettista ufficiale della storia.
Già il secondo libretto, quello dell’Euridice, divenne più dettagliato; l’autore (sempre Rinuccini) menzionava il nome di Peri, compositore principale, e spiegava di aver mutato il finale della favola da funesto a lieto, più consono all’occasione per cui fu composto, le nozze di Maria Medici, regina di Francia e di Navarra. Gradualmente, i libretti divennero sempre più ricchi di notizie riguardanti l’opera, e tendenzialmente più piccoli nel formato: appunto, libretti.
Dunque, sin dal principio il librettista costituì un personaggio cardinale nel confezionamento dell’opera musicale, occupandosi di uno dei due elementi fondamentali dell’opera stessa: il testo. Ma cosa viene prima, la musica o le parole?
La prassi vorrebbe che il testo precedesse la musica, secondo l’idea che questa debba abbracciare i versi evidenziandone il significato, sottolineandone gli elementi prosodici e intonativi.
Tuttavia, nel 1786 fu rappresentata al castello di Schönbrunn un’opera intitolata Prima la musica, poi le parole, su libretto dell’abate Giovanni Battista Casti, musicato da Antonio Salieri. Sì, il maestro di cappella dell’imperatore Giuseppe II era proprio quello a cui Milos Forman assegnò il ruolo di nemico di Mozart in Amadeus. Casti invece era un ingegno brillante e satirico; Foscolo, che lo criticava severamente come uomo e come autore, lo ammirava come impareggiabile «scrittore felice di opere buffe».
Prima la musica, poi le parole descrive le peripezie artistiche di un maestro di musica e di un poeta. Per ordine del proprio padrone, i due devono creare in soli quattro giorni una nuova opera. Il librettista inizialmente rifiuta, indignato del poco tempo a disposizione, ma il musicista dichiara che l’impresa è «arcipossibile»: basterà utilizzare una sua precedente composizione, a cui il poeta dovrà soltanto adattare le parole, e lo ‘rassicura’:
È la dichiarazione di una crisi. In realtà l’abate Casti, contraddicendo il titolo, scrisse il suo testo prima della musica, ma ormai i compositori tendevano a considerare i librettisti al servizio della musica.
Pietro Metastasio, Apostolo Zeno, Lorenzo Da Ponte e altri grandi poeti si affermarono come fulgidi librettisti, profondendo talento e sapienza anche nel genere comico. Questi professionisti però furono sempre più obbligati a sottomettere la loro ispirazione alle richieste dei compositori e degli impresari. Successe per esempio a Felice Romani, che fu costretto da Bellini a cambiare più volte i versi di Casta diva nella Norma. In Bohème, invece, Puccini riadattò un suo valzer per pianoforte come aria di Musetta; per le parole chiese al librettista Giuseppe Giacosa di rispettare la struttura sillabico-accentuativa di «coccoricò, coccoricò, bistecca», che diventò «quando me’n vo’, quando me’n vo’ soletta».
Un caso particolare fu invece Richard Wagner, autore dei testi delle sue stesse opere musicali, dove introdusse innovazioni radicali: infatti le sue composizioni non presentano ripetizioni testuali, per permettere il continuo fluire della musica.
Diversamente, nelle forme chiuse classiche, e fino alla canzone pop della nostra epoca, il testo può venir adattato alla melodia a posteriori; è questo il metodo seguito da Mogol. Ma la differenza tra librettista e paroliere è un’altra storia.