SignificatoChe agisce in modo malvagio e subdolo; molto cattivo, pessimo
Etimologia voce dotta recuperata dal latino perfidus ‘sleale’, derivato di fides ‘lealtà, fedeltà’ col prefisso per-, che qui indica devianza.
Una parola alta che si impara presto: infatti è un attributo ricorrente dei personaggi malvagi di molte narrazioni, e con perfide matrigne e perfidi visir si fanno i conti presto. Ma la comprensione della qualità del perfido resta spesso affidata all’intuizione – e finisce per sbavarsi in un ‘malvagio’ piuttosto generico. Si può fare di meglio.
Se il perfido è sempre malvagio, però esiste la malvagità senza perfidia. Infatti la qualità del perfido richiede che la malvagità si esprima in modo subdolo, sottile, sleale e (importantissimo) compiaciuto. Beninteso, queste sono espressioni comuni del male, proprie di molti malvagi, ma non necessarie. L’orco che uccide e distrugge con franca spontaneità non è necessariamente perfido, il rissoso sanguinario, idem. Polifemo e Grendel non sono perfidi, sono cattivi schietti, talenti naturali. La perfidia richiede il passo importante di una mediazione intellettuale, un ordito, e un’inclinazione superiore alla mera violenza fisica – almeno un po’ più complessa del bestiale, della pura passione. E quello della perfidia è un esercizio di potere che deve essere consapevole e ingenerare soddisfazione – altrimenti che malvagità sarebbe? Per questo sono perfide le streghe, notoriamente dotte e manovratrici, e perfidi i cortigiani, notoriamente intriganti.
L’etimologia, difatti, ci presenta il perfido come uno sleale. La fides del perfidus racconta onestà, fedeltà che viene pervertita, deviata, superata dal prefisso per-. E anche se la perfidia comunemente non ci fa pensare a un problema di lealtà, visto il respiro generale che ha acquisito, continua però a portare un’eco di doppiezza. Poi certo, in letteratura capita di trovare la qualità del perfido intesa precisamente come inclinazione al tradimento, ma è quasi una finezza di coerenza etimologica.
Il perfido nell’uso corrente è talmente sbavato nel significare genericamente il maligno da diventare il cattivo anche in senso figurato, quando non si parla di qualità morali: può essere perfido il tempo che ci investe appena mettiamo un piede fuori di casa, perfido il vino orgogliosamente prodotto dall’amico, perfido l’alito dei colleghi a cui cerchiamo di offrire delle mentine.
Insomma, una parola che da un lato parte per la tangente della massima genericità, dall’altra riesce comunque a circostanziarsi in attributi precisi e inconfondibili.
Una parola alta che si impara presto: infatti è un attributo ricorrente dei personaggi malvagi di molte narrazioni, e con perfide matrigne e perfidi visir si fanno i conti presto. Ma la comprensione della qualità del perfido resta spesso affidata all’intuizione – e finisce per sbavarsi in un ‘malvagio’ piuttosto generico. Si può fare di meglio.
Se il perfido è sempre malvagio, però esiste la malvagità senza perfidia. Infatti la qualità del perfido richiede che la malvagità si esprima in modo subdolo, sottile, sleale e (importantissimo) compiaciuto. Beninteso, queste sono espressioni comuni del male, proprie di molti malvagi, ma non necessarie. L’orco che uccide e distrugge con franca spontaneità non è necessariamente perfido, il rissoso sanguinario, idem. Polifemo e Grendel non sono perfidi, sono cattivi schietti, talenti naturali. La perfidia richiede il passo importante di una mediazione intellettuale, un ordito, e un’inclinazione superiore alla mera violenza fisica – almeno un po’ più complessa del bestiale, della pura passione. E quello della perfidia è un esercizio di potere che deve essere consapevole e ingenerare soddisfazione – altrimenti che malvagità sarebbe? Per questo sono perfide le streghe, notoriamente dotte e manovratrici, e perfidi i cortigiani, notoriamente intriganti.
L’etimologia, difatti, ci presenta il perfido come uno sleale. La fides del perfidus racconta onestà, fedeltà che viene pervertita, deviata, superata dal prefisso per-. E anche se la perfidia comunemente non ci fa pensare a un problema di lealtà, visto il respiro generale che ha acquisito, continua però a portare un’eco di doppiezza. Poi certo, in letteratura capita di trovare la qualità del perfido intesa precisamente come inclinazione al tradimento, ma è quasi una finezza di coerenza etimologica.
Il perfido nell’uso corrente è talmente sbavato nel significare genericamente il maligno da diventare il cattivo anche in senso figurato, quando non si parla di qualità morali: può essere perfido il tempo che ci investe appena mettiamo un piede fuori di casa, perfido il vino orgogliosamente prodotto dall’amico, perfido l’alito dei colleghi a cui cerchiamo di offrire delle mentine.
Insomma, una parola che da un lato parte per la tangente della massima genericità, dall’altra riesce comunque a circostanziarsi in attributi precisi e inconfondibili.