Profondo
pro-fón-do
Significato Che presenta grande distanza tra la superficie e il fondo (in senso verticale); che si estende notevolmente verso l’interno (in senso orizzontale); in senso figurato vale accentuato, penetrante, intenso, assoluto, vasto
Etimologia dall’aggettivo latino profundus, formato dal prefisso pro- (‘avanti’), con valore intensivo, e dal sostantivo fundus, ‘fondo, base’.
Parola pubblicata il 08 Agosto 2022
Leopardi spiega parole - con Andrea Maltoni
Giacomo Leopardi, oltre ad essere un grande poeta, ha osservato e commentato esplicitamente molte parole della nostra lingua. Andrea Maltoni, dottoressa in filologia, in questo ciclo ci racconterà parole facendolo intervenire.
Quando diciamo di aver “toccato il fondo” parliamo di un momento piuttosto critico, in cui si sente di aver raggiunto il punto più basso dell’abiezione: da lì si può solo risalire.
I latini non possedevano la medesima espressione né questo taglio pessimistico del raggiungere il fondo: diedero però vita ad un aggettivo che recupera tale movimento, un inabbissarsi andando a toccare la parte più recondita di qualcosa. Profundus è infatti formato con il prefisso pro- che in questo caso esprime un andare verso, un avvicinamento, e che intensifica il senso della parola a cui si accompagna - come a dire più fondo del fondo.
È facile immaginare come un aggettivo del genere, che abita gli spazi più intimi e abissali, sia da sempre al duplice servizio della lettera e della metafora.
Ad essere profondi sono così mari, laghi, fiumi e oceani, e ancora insenature, canyon, vulcani e voragini. Ma non solo verso il basso: ci si può addentrare in boschi e deserti profondi, andandone a sondare le parti più remote, e si può, oramai, penetrare persino nel profondo cielo, lasciandosi la Terra alle spalle.
Ma quando dal mondo naturale si passa a quello umano, ecco la lettera farsi metafora, e gli abissi della natura diventare quelli dell’anima:
Quando la mente è abitata dal pensiero dell’amore, esso si fa tirannico, non c’è posto per nient’altro. Qui Leopardi opera un gioco retorico tra sostantivo e aggettivo (ipallage), dove la mia profonda mente sta in realtà per il profondo della mia mente: il pensiero dominante, dolcissimo e potente, arriva cioè ad impadronirsi di tutto, fino al più remoto interstizio della mente innamorata.
Non è raro infatti che profondo si faccia sostantivo, dando consistenza materiale a una qualità: possiamo così dire “scavare nel profondo” per intendere l’andare ad indagare qualcosa ben più al di sotto della superficie, e spesso si sente l’espressione “dal profondo del cuore”, a significare dall’intimità di esso.
È proprio questa l’accezione del leopardiano cor profondo, nel quale ritroviamo impiegato il modulo retorico già visto sopra e con cui ci viene raccontata l’assurda convivenza di Amore e di Morte nei recessi del cuore umano:
Quando ritorna a vestire gli abiti di aggettivo, profondo può valere anche come sinonimo di vasto, intenso, assoluto - ed è proprio di questa sostanza che sono fatti i più memorabili versi leopardiani.
Non soltanto nella profondissima quiete dell’Infinito, dove l’aggettivo viene reso superlativo a evocare ancor di più l’intensità di quella pace sovrumana, ma anche nello straziante e intimo colloquio di quel pastore errante con la luna:
Due esempi che ci mostrano come Leopardi ricorresse a questa voce in momenti di profonde riflessioni ed evocazioni metafisiche per dire l’inaccessibilità, l’inconoscibilità, per verbalizzare l’insondabile.
Ed è proprio in questa intrinseca qualità che risiedeva il poeticissimo fascino di questa parola abissale.
In una delicatezza e in un sentire che sono propri di pochi, forse anche Lucio Dalla avvertiva la stessa fascinazione quando mise nero su bianco una tra le sue canzoni più “metafisiche”:
Copertina del vinile Com’è profondo il mare (1977) di Lucio Dalla