Fascino

fà-sci-no

Significato Influsso malefico, malia; richiamo, attrattiva, potere di seduzione

Etimologia voce dotta recuperata dal latino fascinus o fascinum ‘malia’ ma anche ‘amuleto fallico’, derivato dal greco báskanos ‘iettatore, ammaliatore’ a sua volta da básko ‘maledico’.

Forse qualcuno credeva che avremmo cominciato parlando di gente elegante e carismatica dall’eloquio accattivante e dai modi attraenti con qualche tratto ombroso, invece dovremo cominciare dall’invidia e dagli antichi amuleti romani a forma di pene.

Guardando ai primi usi della parola ‘fascino’ in italiano (quattrocenteschi), si resta un po’ interdetti, perché lì è un influsso malefico che procede dall’invidioso all’invidiato. In altri termini, se io ti affascino, ti faccio il malocchio. Questo fascino inteso come malìa, come stregoneria malefica, è preso dal latino.

In latino, però, il fascinus o fascinum ha un’ambivalenza: è tanto il maleficio d’invidia quanto l’amuleto che lo scongiura — in una sorta di enantiosemia. E il dato teneramente taciuto dalla quasi totalità dei dizionari etimologici (che forse non vogliono farci arrossire mentre ci stiamo mettendo a seccare dentro una pansé) è che non si trattava di un amuleto qualunque, ma di quello che scongiurava con un simbolo fallico.

La superstizione romana era un affare serissimo, il malocchio un timore costante: se gli alberi si caricavano di frutti promettenti, se il raccolto lussureggiava, era necessario piantare rappresentazioni di falli a deflettere gli incantesimi dei cattivi sguardi: figuriamoci, Sant’Agostino si scandalizzava per la festa del dio Liber (più quieto successore di Bacco) in cui veniva portato un fallo in processione, e le pie matrone dovevano porre corone su quel membro inhonesto. E di fascini, di piccoli amuleti a forma di fallo da indossare o da appendere come tintinnabula — sonagli fatti tintinnare dal vento, sopra gli ingressi a negozi e case — ce ne sono arrivati in grande quantità, erano amuleti fra i più diffusi.

In italiano i riferimenti fallici del fascino sono residuali, tendenzialmente legati all’antichità e al dio Priapo (anche noto come Fascinus). Ma se in latino c’era questa marcata doppiezza maleficio/amuleto, l’italiano ne ha sviluppata un’altra, che si è via via riassorbita facendo scomparire dal campo del fascino l’accezione maligna.

Fra Cinque e Seicento il fascino — che prima dunque era un influsso malefico esercitato dall’invidioso — diventa un richiamo, un’attrattiva, un potere di seduzione. È il fascino che conosciamo oggi, il fascino della persona dai modi squisiti, il fascino di chi parla in maniera appassionante, il fascino di un’ambientazione d’altri tempi: un influsso che ha invertito il suo verso, perché se quello antico andava da chi guardava a chi o ciò che era guardato, quello attuale è un influsso avvincente di chi o ciò che è al centro dell’attenzione verso chi lo ammira e ne è rapito. E sempre un influsso magico pare.

Maleficio e pène deflettore, invidia e richiamo: nel fascino c’è un gioco millenario di significati opposti e speculari. E se ci si sgancia dalla superstizione, ci ritroviamo sotto un cielo in cui l’attrazione del fascino è solo un metro sottile di bellezza.

Parola pubblicata il 11 Maggio 2020