Spegnere

spè-gne-re (io spèn-go)

Significato Far cessare di bruciare; far cessare di funzionare

Etimologia probabilmente da una sovrapposizione fra il latino extingere ‘scolorire’ ed extinguere ‘estinguere’.

È con una goccia di sudore sulla fronte che ho scritto ‘spegnere’ invece di ‘spengere’. Questo perché in Toscana si dice e scrive regolarmente ‘spengere’, anche se i dizionari registrano ‘spegnere’, e lo stesso correttore ortografico lo segna come errore. Ma si tratta di una semplice variante. Anzi, logicamente sarebbe la variante più coerente: chi mai oggi direbbe o scriverebbe ‘pugnere’ o ‘mugnere’ invece di ‘pungere’ o ‘mungere’? Eppure nel medioevo erano tutte varianti accettate. E io spengo, non spegno. E vogliamo dirla tutta? Quanto è più seria una parola che ha il suono ‘ng’ rispetto al suono ‘gn’…!

Argomentazioni che difendono un uso regionale a parte, siamo davanti a una delle parole-cardine della nostra lingua. L’etimologia è quantomai bella e poetica: ci racconta l’incrocio fra uno scolorire e un estinguere, che se concretamente viene usato per indicare il far cessare l’ardere o il funzionare di qualcosa, figuratamente diventa il far cessare gli effetti, l’annichilire gradualmente, il sopprimere. Così spengo una candela o un computer, ma anche un prestito, con una critica devastante spengo l’entusiasmo, l’epidemia spenge troppe vite, con un abbraccio spengo la solitudine.

“Come si dice il contrario di spento?”

“Il verbo è spegnere, e il suo contrario è accendere”

“Ah, capisco. Quindi, accendere / accento”

Una lingua non è sempre logica. Non segue regole matematiche. Ha eccezioni ed eccezioni alle eccezioni. Per fare un esempio, prendiamo un osso duro della grammatica italiana, il passato prossimo. Si studia ad un livello molto basso ed è mortalmente difficile, a cominciare dalla scelta dell’ausiliare, essere o avere.

Si dice: “sono andato” ma “ho mangiato”. Quando lo spieghiamo agli studenti, semplificando, diciamo che i verbi di movimento hanno come ausiliare “essere” e tutti gli altri, “avere”. Ma “ho ballato”, “ho viaggiato”, “ho nuotato”, non descrivono forse un movimento? E che dire di verbi come “salire”, che ha il doppio ausiliare? “Ho salito le scale”, “sono salito al secondo piano”? Inoltre il concetto stesso di verbo di movimento è culturalmente relativo, una volta ho avuto una appassionante discussione con uno studente cinese sul verbo lavorare (“tu quando lavori, ti muovi!”). Come se non bastasse il passato prossimo comprende anche il participio passato che ha tre forme fisse e un mare di eccezioni. A volte cerchiamo di raggrupparle e avvisiamo gli studenti che per esempio i verbi che finiscono in –endere hanno il participio in –eso, quindi prendere/preso, stendere/steso, appendere/appeso, e così via. Quindi vendere/veso? In effetti no, quella è l’eccezione all’eccezione.

E l’illogicità della grammatica non si ferma ai verbi. Se gli aggettivi possessivi seguissero regole ferree, basandosi sui pronomi me, te, lui, gli aggettivi dovrebbero essere mio, tuo, luo, nostro, vostro, lostro, come ogni tanto qualche studente prova a ipotizzare. E se i numeri son diciassette, diciotto e diciannove, allora perché non dire diciassei (errore comunissimo), diciaccinque (meno diffuso) e diciaqquattro (una perla rara)?

Succede spesso quindi che dopo una spiegazione di grammatica, uno studente esclami “non ha senso!”, o come a volte dicono gli anglofoni “non fa senso!” (da it doesn’t make sense). Tranquilli, studenti, un po’ di senso lo fa.

Parola pubblicata il 23 Giugno 2016

L'italiano visto dagli stranieri - con Chiara Pegoraro

L'italiano è una delle lingue più studiate al mondo: come è che gli stranieri la vedono, quali sono le curiosità, le difficoltà e le sorprese che riserva a chi la sta imparando? Con Chiara Pegoraro, esperta insegnante d'italiano per stranieri, osserveremo attraverso alcune parole le questioni più problematiche e divertenti di questo tipo di apprendimento. Per gli italiani, qualcosa di nuovo e insolito sulla loro lingua madre; per le migliaia di amici stranieri che ci seguono, un simpatico aiuto.