SignificatoFrase priva di senso pronunciata con convinzione al fine di confondere l’interlocutore
Etimologia termine coniato nella sceneggiatura del film ‘Amici Miei’, diretto da Monicelli nel 1975.
Negli ultimi giorni c’è un gran parlare intorno a questa parola: infatti un primo dizionario, lo Zingarelli, nell’edizione ventura l’annovererà fra le parole della lingua italiana. È una notizia che in Toscana fa sorridere: “Amici miei” è un film di quarant’anni fa, che qui è sempre stato sulla cresta dell’onda - e la parola ‘supercazzola’ si usa da decenni. Fa piacere sapere che è salita alla ribalta nazionale.
In questo straordinario film, il personaggio forse più spassoso e intensamente drammatico è il conte Mascetti (interpretato da Ugo Tognazzi), un nobile orgoglioso ridotto in miseria. Uno dei suoi divertimenti preferiti - ma condivisi anche da altri della sua brigata di burloni - è ‘fare la supercazzola’. È una presa in giro, rivolta con particolare gusto ai rappresentati di alti poteri, come pubblici ufficiali e preti: con la massima naturalezza, si dice qualcosa che è completamente privo di senso in modo da confondere la persona a cui ci rivolgiamo. Per intendersi, il primo esempio di supercazzola è quello con cui il Mascetti cerca di confondere un vigile per evitare una multa: qui sarebbe inutile una trascrizione, perché è l’interpretazione a fare tutto il gioco.
Si tratta di una parola interessante perché descrive un fenomeno molto comune e ampio, che possiamo riconoscere nel nostro quotidiano e che troviamo spesso in letteratura e nello spettacolo. Ad esempio, nella novella “Calandrino e l’Elitropia” di Boccaccio, è una supercazzola quella che fa Maso del Saggio al credulone Calandrino quando gli descrive il Paese di Bengodi (alla domanda di quante miglia disti, risponde più di millanta, che tutta notte canta); il numero di comici che è ricorso a una supercazzola surreale per far ridere non si conta; e si può parlare della supercazzola con cui si inganna il professore distratto durante l’interrogazione, della giustificazione dell’amico che pare tanto una supercazzola, e della supercazzola burocratica che ci fanno all’ufficio chiedendo di tornare fra tre mesi (sempre per l’ISEE).
È un concetto vasto e utile, che nasce ben prima di “Amici miei”; ma forse, per comprenderlo appieno, è bene guardarsi e riguardarsi questa perla del nostro cinema. Fra l’altro, va detto che ci sono dubbi sull’ortografia: è invalsa la forma ‘supercazzola’, ma pare che nella mente degli sceneggiatori dovesse essere ‘supercazzora’.
Negli ultimi giorni c’è un gran parlare intorno a questa parola: infatti un primo dizionario, lo Zingarelli, nell’edizione ventura l’annovererà fra le parole della lingua italiana. È una notizia che in Toscana fa sorridere: “Amici miei” è un film di quarant’anni fa, che qui è sempre stato sulla cresta dell’onda - e la parola ‘supercazzola’ si usa da decenni. Fa piacere sapere che è salita alla ribalta nazionale.
In questo straordinario film, il personaggio forse più spassoso e intensamente drammatico è il conte Mascetti (interpretato da Ugo Tognazzi), un nobile orgoglioso ridotto in miseria. Uno dei suoi divertimenti preferiti - ma condivisi anche da altri della sua brigata di burloni - è ‘fare la supercazzola’. È una presa in giro, rivolta con particolare gusto ai rappresentati di alti poteri, come pubblici ufficiali e preti: con la massima naturalezza, si dice qualcosa che è completamente privo di senso in modo da confondere la persona a cui ci rivolgiamo. Per intendersi, il primo esempio di supercazzola è quello con cui il Mascetti cerca di confondere un vigile per evitare una multa: qui sarebbe inutile una trascrizione, perché è l’interpretazione a fare tutto il gioco.
Si tratta di una parola interessante perché descrive un fenomeno molto comune e ampio, che possiamo riconoscere nel nostro quotidiano e che troviamo spesso in letteratura e nello spettacolo. Ad esempio, nella novella “Calandrino e l’Elitropia” di Boccaccio, è una supercazzola quella che fa Maso del Saggio al credulone Calandrino quando gli descrive il Paese di Bengodi (alla domanda di quante miglia disti, risponde più di millanta, che tutta notte canta); il numero di comici che è ricorso a una supercazzola surreale per far ridere non si conta; e si può parlare della supercazzola con cui si inganna il professore distratto durante l’interrogazione, della giustificazione dell’amico che pare tanto una supercazzola, e della supercazzola burocratica che ci fanno all’ufficio chiedendo di tornare fra tre mesi (sempre per l’ISEE).
È un concetto vasto e utile, che nasce ben prima di “Amici miei”; ma forse, per comprenderlo appieno, è bene guardarsi e riguardarsi questa perla del nostro cinema. Fra l’altro, va detto che ci sono dubbi sull’ortografia: è invalsa la forma ‘supercazzola’, ma pare che nella mente degli sceneggiatori dovesse essere ‘supercazzora’.