SignificatoBere avidamente, a grandi sorsi o d’un fiato
Etimologia composto parasintetico di canna, in riferimento alla canna della gola, con il prefisso tra- nel significato di ‘attraverso’.
Sembra una parola moderatamente ironica, una bella formazione quattrocentesca imperniata su un’esagerazione che fa del bere avidamente uno scolare attraverso la canna della gola. Ma infilandoci un pensiero in più diventa piuttosto inquietante.
Chi tracanna non è nemmeno più un ‘chi’: l’atto del bere smodatamente, così riferito direttamente alla gola, non contempla labbra, né bocca, né viso. Il tracannare destruttura la figura della persona, la disumanizza riducendola a una canna cava attraverso cui un liquido si travasa in un sacco viscerale. Questa parola non è faceta, è raccapricciante come un dipinto di Francis Bacon (magari Tre studi per figure alla base di una Crocifissione).
E diventa più evidente, questa destrutturazione, se pensiamo a un altro verbo che conosciamo bene e che ci parla delle canne della gola: lo scannare. Uno sgozzare in cui l’uccisione si riduce alla recisione di una tubatura - solo metafora di una parte del corpo. Perfino il Cerbero di Dante, mostro diverso, commistione orrenda e a stento immaginabile di tratti ferini e umani, viene domato da un Virgilio che gli tira una manata di melma nelle bramose canne.
Così quando parliamo del compagno di classe ritrovato che nel tempo di un saluto si è tracannato un gin dopo l’altro, quando parliamo del commensale che si è tracannato il vino senza servirlo a nessuno, quando dico che alla fine della lunga corsa, fradicio di sudore, mi tracanno una bottiglia d’acqua intera, descrivo in maniera incisiva un bere senza volto, mosso da una volontà cieca, addirittura inconsapevole, che a tentoni scola vorace bottiglie o bicchieri nel buco del tubo che ha al posto della testa intera.
Mi sono fatto un po’ senso da solo, però è una parola davvero potente.
Sembra una parola moderatamente ironica, una bella formazione quattrocentesca imperniata su un’esagerazione che fa del bere avidamente uno scolare attraverso la canna della gola. Ma infilandoci un pensiero in più diventa piuttosto inquietante.
Chi tracanna non è nemmeno più un ‘chi’: l’atto del bere smodatamente, così riferito direttamente alla gola, non contempla labbra, né bocca, né viso. Il tracannare destruttura la figura della persona, la disumanizza riducendola a una canna cava attraverso cui un liquido si travasa in un sacco viscerale. Questa parola non è faceta, è raccapricciante come un dipinto di Francis Bacon (magari Tre studi per figure alla base di una Crocifissione).
E diventa più evidente, questa destrutturazione, se pensiamo a un altro verbo che conosciamo bene e che ci parla delle canne della gola: lo scannare. Uno sgozzare in cui l’uccisione si riduce alla recisione di una tubatura - solo metafora di una parte del corpo. Perfino il Cerbero di Dante, mostro diverso, commistione orrenda e a stento immaginabile di tratti ferini e umani, viene domato da un Virgilio che gli tira una manata di melma nelle bramose canne.
Così quando parliamo del compagno di classe ritrovato che nel tempo di un saluto si è tracannato un gin dopo l’altro, quando parliamo del commensale che si è tracannato il vino senza servirlo a nessuno, quando dico che alla fine della lunga corsa, fradicio di sudore, mi tracanno una bottiglia d’acqua intera, descrivo in maniera incisiva un bere senza volto, mosso da una volontà cieca, addirittura inconsapevole, che a tentoni scola vorace bottiglie o bicchieri nel buco del tubo che ha al posto della testa intera.
Mi sono fatto un po’ senso da solo, però è una parola davvero potente.