Cerbero

cèr-be-ro

Significato Guardiano severo; persona sgarbata

Etimologia dal greco: Kèrberos, nome del mostruoso cane a tre teste che, secondo il mito greco, stava di guardia alle porte degli Inferi.

Dalla terribile figura mitologica del cane tricefalo posto a guardia dell’Ade, la lingua mutua un’antonomasia vivace, di grande espressività. Si tratta di un epiteto che può essere facilmente cucito su uscieri e custodi che si mostrino particolarmente arcigni e inflessibili; questa antonomasia può anche essere estesa a significare genericamente persone sgarbate e facili all’ira - ma in questo passaggio ulteriore perde un po’ di nerbo. Andando a trovare l’amico in ospedale (un’appendicite da nulla), ci si può scontrare con il cerbero che non ti vuole fare entrare perché l’orario di visita inizia fra quaranta secondi; nel museo in chiusura si viene inseguiti di sala in sala dal cerbero che ti sospinge latrando verso l’uscita - giustamente, dovevi arrivare prima; e quando esci venti minuti prima da lezione, il cerbero seduto in portineria ti farà impietosamente segnare l’orario d’uscita reale.

Secondo un uso desueto, questa parola poteva anche essere impiegata per significare la terra: i corpi inumati vengono divorati come da un cane infernale.

Nota mitologica extra: chi era Cerbero?

Molto tempo fa sulla terra imperversavano divinità primordiali - gente non simpaticissima che comunque fu rimessa a posto da Zeus. Fra queste, Tifone ed Echidna furono senza dubbio fra le più prolifiche: fra i loro figli troviamo la Chimera, l’Idra, la Sfinge e, ça va sans dire, Cerbero.

Questo era un cagnolone enorme dotato di tre teste, e al posto del pelo aveva un caratteristico manto di serpi. Vuoi un po’ per indole, vuoi per la pessima educazione, risultò essere straordinariamente aggressivo; dopo che papà e mamma furono usciti di scena, l’unico che riuscì a mostrargli il polso del padrone fu Ade, il dio degli Inferi, che lo portò con sé, facendo di lui un implacabile cane da guardia. Grazie a Cerbero i morti restavano dentro, i vivi restavano fuori. A meno che proprio non insistessero per entrare - nel qual caso li sbranava e poi erano i benvenuti.

I racconti che lo riguardano finiscono invariabilmente per fagli fare una figuraccia: per entrare negli Inferi, Enea lo ingozza di focacce di miele farcite di sonnifero e Orfeo lo tramuta in un pacifico giuggiolone pizzicando la propria lira, mentre Ercole - che per la sua dodicesima fatica cercava proprio lui - non solo lo sottomette a schiaffoni, ma lo porta fuori e poi fino a Micene, per mostrarlo a Euristeo. Questo pensava di aver chiesto a Ercole l’impossibile, ma quando si vede Cerbero davanti, non senza una lieve scocciatura, gli domanda di riportarlo a casa, nell’Ade. Insomma, alla fine Cerbero aveva solo qualche problema di aggressività che sfogava sui deboli. A meno che i deboli non avessero focacce al miele. Adorava le focacce al miele.

Parola pubblicata il 31 Marzo 2014