SignificatoFare cenni d’intesa, specie con gli occhi e di nascosto; alludere
Etimologia attraverso l’ipotetica forma del parlato ammicare, dal latino micare ‘scintillare’.
È buffo come questa parola sia tanto trasparente senza però definire analiticamente movimenti o gesti esatti.
‘Ammiccare’ è fare cenni d’intesa — cenni che sono tutti rigorosamente registrati e codificati. Però lo sono in un vocabolario muscolare che padroneggiamo senza un pensiero, e a cui è difficile accedere: non sono gesti universali astraibili dal contesto, hanno dei significati incontrovertiti là dove sono. Sono cenni fatti soprattutto con gli occhi, e di nascosto, e hanno una sintassi di roteari, di stralunamenti, di indicazioni e accompagnamenti diretti con le sole pupille, di battiti di palpebre e di occhiolini, di impercettibili coinvolgimenti della bocca, di leggerissimi scuotimenti e annuimenti, ombre di sorrisi, perfino di tempi di sguardo, dardeggiato o posato.
Il fatto che tutta questa stranissima roba ricada sotto un nome unico si spiega in ragione della sua funzione: l’ammiccare è un intero genere di comunicazione essenziale che esclude i mezzi più efficaci, chiari e articolati che usiamo per comunicare. L’ammiccare non conosce parola scritta o detta, non conosce gesto della mano. È solamente una scrittura del volto, una scrittura impressa dallo sguardo e da pochi muscoli d’intorno. Perciò ha una vocazione a funzionare come comunicazione discreta, coperta, allusiva, una comunicazione trasmissiva di informazioni minime, essenziali.
Ora: questa sarà una parola recente, un fusto vigoroso ma giovane e scarno, oppure la carezza del suo concetto continuerà in un gigantesco tronco ramificato che affonda nella notte dei tempi?
Attraverso una forma intermedia del parlato ricostruita come ammicare, l’ammiccare deriva dal micare latino, letteralmente uno scintillare, col prefisso ad- che lo direziona. E già qui sostiamo per un momento di consapevolezza: ‘ammiccare’ è ‘scintillare verso’.
Noi, comunità di chi pensa e parla in italiano e in lingue affini, siamo sulle spalle di una caterva di cento generazioni; generazioni che insieme e a turno, uso su uso, hanno costituito questo sconfinato, potentissimo corpo poetico, che ci permette di concepire l’atto con cui mi indichi di sottecchi una persona attraverso uno ‘scintillare’ direzionato. Se non ci deve suscitare gratitudine questo, non so che altro. E non finisce qui: il micare latino appartiene a una casata indoeuropea, stirpe di una radice che possiamo ricostruire come mikh-, il batter le palpebre, o come meik-, con una fantasmagoria di significati in una cascata di lingue — dallo scatto alla visione. Insomma, lo scintillare del micare non giunge a descrivere uno sguardo, parte dallo sguardo.
Così la battuta velenosa è accompagnata da un ammiccamento che palesa a chi si riferisca, quando mi viene in mente uno scherzo da fare a qualcuno ammicco perché le altre persone stiano al gioco, e faccio capire un interesse verso qualcuno ammiccando. Ma ancora, e figuratamente, il nuovo film ammicca ai fan del precedente.
Brillante, di descrittività indefinita, l’ammiccare spicca per ciò che dice e per ciò che non si perde a dire — un secondo corno della comunicazione che spesso trascuriamo, e che invece, col suo abbandono della didascalia, dà spazio, respiro, penombra a ciò che si coglie solo con la coda dell’occhio.
È buffo come questa parola sia tanto trasparente senza però definire analiticamente movimenti o gesti esatti.
‘Ammiccare’ è fare cenni d’intesa — cenni che sono tutti rigorosamente registrati e codificati. Però lo sono in un vocabolario muscolare che padroneggiamo senza un pensiero, e a cui è difficile accedere: non sono gesti universali astraibili dal contesto, hanno dei significati incontrovertiti là dove sono. Sono cenni fatti soprattutto con gli occhi, e di nascosto, e hanno una sintassi di roteari, di stralunamenti, di indicazioni e accompagnamenti diretti con le sole pupille, di battiti di palpebre e di occhiolini, di impercettibili coinvolgimenti della bocca, di leggerissimi scuotimenti e annuimenti, ombre di sorrisi, perfino di tempi di sguardo, dardeggiato o posato.
Il fatto che tutta questa stranissima roba ricada sotto un nome unico si spiega in ragione della sua funzione: l’ammiccare è un intero genere di comunicazione essenziale che esclude i mezzi più efficaci, chiari e articolati che usiamo per comunicare. L’ammiccare non conosce parola scritta o detta, non conosce gesto della mano. È solamente una scrittura del volto, una scrittura impressa dallo sguardo e da pochi muscoli d’intorno. Perciò ha una vocazione a funzionare come comunicazione discreta, coperta, allusiva, una comunicazione trasmissiva di informazioni minime, essenziali.
Ora: questa sarà una parola recente, un fusto vigoroso ma giovane e scarno, oppure la carezza del suo concetto continuerà in un gigantesco tronco ramificato che affonda nella notte dei tempi?
Attraverso una forma intermedia del parlato ricostruita come ammicare, l’ammiccare deriva dal micare latino, letteralmente uno scintillare, col prefisso ad- che lo direziona. E già qui sostiamo per un momento di consapevolezza: ‘ammiccare’ è ‘scintillare verso’.
Noi, comunità di chi pensa e parla in italiano e in lingue affini, siamo sulle spalle di una caterva di cento generazioni; generazioni che insieme e a turno, uso su uso, hanno costituito questo sconfinato, potentissimo corpo poetico, che ci permette di concepire l’atto con cui mi indichi di sottecchi una persona attraverso uno ‘scintillare’ direzionato. Se non ci deve suscitare gratitudine questo, non so che altro. E non finisce qui: il micare latino appartiene a una casata indoeuropea, stirpe di una radice che possiamo ricostruire come mikh-, il batter le palpebre, o come meik-, con una fantasmagoria di significati in una cascata di lingue — dallo scatto alla visione. Insomma, lo scintillare del micare non giunge a descrivere uno sguardo, parte dallo sguardo.
Così la battuta velenosa è accompagnata da un ammiccamento che palesa a chi si riferisca, quando mi viene in mente uno scherzo da fare a qualcuno ammicco perché le altre persone stiano al gioco, e faccio capire un interesse verso qualcuno ammiccando. Ma ancora, e figuratamente, il nuovo film ammicca ai fan del precedente.
Brillante, di descrittività indefinita, l’ammiccare spicca per ciò che dice e per ciò che non si perde a dire — un secondo corno della comunicazione che spesso trascuriamo, e che invece, col suo abbandono della didascalia, dà spazio, respiro, penombra a ciò che si coglie solo con la coda dell’occhio.