Etimologia dal francese antico hardi ‘coraggioso’, che è dal verbo francone ricostruito hardjan ‘rendere duro’ , dall’ipotetica radice germanica hard ‘duro’.
Nel letto consumato delle metafore più vecchie e condivise, l’associazione fra fuoco e coraggio, fra ardore e ardire, è completamente scontata — e va da sé immaginare che abbiano una radice in comune, anzi che siano quasi la stessa parola… e invece no.
‘Ardito’ è un termine di origine germanica, fràncone. Ci dobbiamo sentire dentro hard, radice ricostruita che troviamo alla base di una quantità di significati di duro in tutte le lingue del ceppo. Il verbo francone ricostruito hardjan aveva il significato primario di ‘rendere duro’ — nella qualità di tempra che anche noi riconosciamo a tipi duri, a tipe toste. La sua suggestione passa nel francese antico hardi, e di lì giunge in italiano: insomma, è un termine che arriva da noi dalla Francia settentrionale, dalle canzoni di gesta — mentre il coraggio ci arriva dal coratge provenzale dei trovatori.
Buffo come, senza rendercene conto, connotiamo fortemente l’ardito. L’ardito è più sfacciato, indelicato, e qualificato in maniera meno morale rispetto al coraggioso: se ci riferiscono che qualcuno ha pronunciato parole ardite, ci viene subito in mente che abbia esagerato, o che si sia spinto oltre con estro o provocatoriamente — invece parole coraggiose brillano di verità, di sfida mossa dal giusto.
Una scelta imprenditoriale ardita sceglie il filo del rasoio di un modello d’affari che frutterà ricchezze da satrapo o il fracasso della bancarotta — una scelta imprenditoriale coraggiosa la immaginiamo illuminata da un fine sociale, di opposizione a forze preponderanti di barbarie o decadenza.
Un progetto architettonico ardito può sfidare una difficoltà oggettiva o una tradizione monumentale e diventare iconico e caratterizzare per secoli un luogo nel bene o nel male — un progetto architettonico coraggioso invece ha il sapore di una retorica edificante, se non quello ironico di una schifezza improponibile. In effetti, l’ardito è prossimo all’audace. E non stupisce che quelli degli ‘arditi’ fossero reparti dell’esercito italiano votati ad azioni particolarmente rischiose.
La dimensione dell’ardito muove la generalità dell’audacia, l’inclinazione a osare, sui pendii erti della spavalderia militaresca e dell’originalità estetica (una linea collega la Chanson de Roland e i futuristi), piuttosto che su quelli dell’etica su cui prospera il coraggioso. Differenze che riusciamo a tastare e seguire in maniera intuitiva, anche se nella normale sfocatura dei dizionari e delle nostre definizioni sono termini molto, molto vicini.
Nel letto consumato delle metafore più vecchie e condivise, l’associazione fra fuoco e coraggio, fra ardore e ardire, è completamente scontata — e va da sé immaginare che abbiano una radice in comune, anzi che siano quasi la stessa parola… e invece no.
‘Ardito’ è un termine di origine germanica, fràncone. Ci dobbiamo sentire dentro hard, radice ricostruita che troviamo alla base di una quantità di significati di duro in tutte le lingue del ceppo. Il verbo francone ricostruito hardjan aveva il significato primario di ‘rendere duro’ — nella qualità di tempra che anche noi riconosciamo a tipi duri, a tipe toste. La sua suggestione passa nel francese antico hardi, e di lì giunge in italiano: insomma, è un termine che arriva da noi dalla Francia settentrionale, dalle canzoni di gesta — mentre il coraggio ci arriva dal coratge provenzale dei trovatori.
Buffo come, senza rendercene conto, connotiamo fortemente l’ardito. L’ardito è più sfacciato, indelicato, e qualificato in maniera meno morale rispetto al coraggioso: se ci riferiscono che qualcuno ha pronunciato parole ardite, ci viene subito in mente che abbia esagerato, o che si sia spinto oltre con estro o provocatoriamente — invece parole coraggiose brillano di verità, di sfida mossa dal giusto.
Una scelta imprenditoriale ardita sceglie il filo del rasoio di un modello d’affari che frutterà ricchezze da satrapo o il fracasso della bancarotta — una scelta imprenditoriale coraggiosa la immaginiamo illuminata da un fine sociale, di opposizione a forze preponderanti di barbarie o decadenza.
Un progetto architettonico ardito può sfidare una difficoltà oggettiva o una tradizione monumentale e diventare iconico e caratterizzare per secoli un luogo nel bene o nel male — un progetto architettonico coraggioso invece ha il sapore di una retorica edificante, se non quello ironico di una schifezza improponibile. In effetti, l’ardito è prossimo all’audace. E non stupisce che quelli degli ‘arditi’ fossero reparti dell’esercito italiano votati ad azioni particolarmente rischiose.
La dimensione dell’ardito muove la generalità dell’audacia, l’inclinazione a osare, sui pendii erti della spavalderia militaresca e dell’originalità estetica (una linea collega la Chanson de Roland e i futuristi), piuttosto che su quelli dell’etica su cui prospera il coraggioso. Differenze che riusciamo a tastare e seguire in maniera intuitiva, anche se nella normale sfocatura dei dizionari e delle nostre definizioni sono termini molto, molto vicini.