Bdòcc
bdòcc, pronunciato con la -cc finale come la c- di 'ciao'
Significato Varietà linguistica: dialetti emiliani e romagnoli — Pidocchio
Etimologia dal latino pedùculum, pedìculus nel latino classico.
Parola pubblicata il 08 Settembre 2025
Dialetti e lingue d'Italia - con Carlo Zoli
L'italiano è solo una delle lingue d'Italia. Con Carlo Zoli, ingegnere informatico che ha dedicato la vita alla documentazione e alla salvaguardia di dialetti e lingue minoritarie, a settimane alterne esploriamo una parola di questo patrimonio fantasmagorico e vasto.
Oggi parliamo di pidocchi. Iniziamo partendo da lontano e con un po’ di sana fonetica storica: in latino classico si diceva pēdĭcŭlus, ma nella lingua del popolo si doveva certamente dire pēdŭclu, perché da questa base si spiegano facilmente tutte le forme delle parlate neolatine moderne.
Un destino curioso riguarda questa parola, condiviso certamente anche da altre, ma particolarmente evidente qui: si vedono i gradi estremi di evoluzione, o assenza di evoluzione, tra la forma latina e le forme moderne. Si va da certi dialetti sardo-baroniesi (l’entroterra di Orosei, insomma) dove la parola è sostanzialmente identica alla base latina, e si dice pari-pari peduclu, fino, dall’altra parte, al francese dove letteralmente la parola latina si è sfaldata, disfatta, ha perso quasi tutti i pezzi ed è diventata pou (pronunciato /pù/). Tra pou e peduclu, diciamo nel mezzo, ma più verso il francese, si colloca la forma emiliano-romagnola di oggi, bdòcc, che ha perso, come in francese, due sillabe e tutte le vocali a parte quella accentata, ma almeno ha mantenuto le consonanti, pur modificate; e invece più sul lato del sardo si colloca la forma italiana, che però ha avuto diverse evoluzioni nella sua forma, di quelle un po’ particolari che appassionano tanto i glottologi, che ci crediate o no: in italiano, perché pi- e non pe- nella prima sillaba? perché un finale in -òcchio e non in -ócchio come la -u- latina suggerirebbe? Qui le risposte ci sono e sono ben note, ma ne parleremo un’altra volta.
Più interessante invece un altro quesito: come mai a partire da un latino parlato in modo che possiamo immaginare abbastanza simile a Parigi come in Sardegna – diciamo nel I sec d.C. – si sono avute evoluzioni di grado così diverso? Le risposte sono molte, nessuna definitiva, e comunque complesse. Una serie di fattori: il fatto che il latino parlato fosse influenzato dalle lingue pre-esistenti nella zona; il fatto che certe zone siano state esposte a migrazioni e invasioni più di altre, rimaste estremamente isolate; forse il latino stesso dei coloni che venivano mandati nelle province aveva differenze dialettali; tutto molto ragionevole, ma se si andasse a guardare davvero nel dettaglio scopriremmo che non sono del tutto soddisfacenti (per motivi che qui non possiamo approfondire). Il francese, poi, ha visto gran parte della sua evoluzione (con la sua drastica riduzione delle sillabe, lo spostamento dell’accento a fine parola, eccetera) relativamente tardi: ancora nel ‘200 il francese antico era molto simile all’italiano antico: si sono poi differenziati molto, e l’italiano, cioè il fiorentino, per parte sua è rimasto relativamente ‘fermo’, anche se meno del sardo; mentre i dialetti, soprattutto del nord-Italia si sono differenziati moltissimo. Se oggi conversassimo con Dante nell’italiano comune capiremmo praticamente tutto, e quasi tutto capirebbe lui. Un parigino di oggi e un parigino di inizio ‘300, invece, non si capirebbero quasi per nulla.
Ma una cosa si può dire (qui sto semplificando talmente da rischiare la radiazione dall’albo dei linguisti che per fortuna non esiste): in tutte le lingue le parole che si usano molto si usurano, cioè cambiano aspetto al passare del tempo, più di quelle che si usano poco. E allo stesso modo solo le parole molto frequenti ‘tollerano’ paradigmi irregolari, come sa chi studia le lingue straniere: i verbi che si usano continuamente sono sempre i più strambi. Ebbene, pidocchio fa, o meglio faceva, parte del ristretto gruppo di parole fondamentali e di uso continuo. In inglese non più di una decina di parole ha un plurale irregolare, e tra queste proprio ‘pidocchio’, insieme a ‘topo’, ‘pecora’, ‘bue’, ‘cervo’ e poche altre: concetti che facevano parte della conversazione di ogni giorno in un modo per noi oggi inimmaginabile. I nostri bdócc (plurale di bdòcc) ci fanno compagnia dalla notte dei tempi e ci hanno fedelmente seguito nell’evoluzione. Dato che solo alcuni di noi percepiscono il prurito delle loro punture, che non portano granché malattie, che non fanno perdere tanto sangue… si può dire che siano il parassita perfetto, che sfrutta senza che lo sfruttato ne abbia eccessivo danno e che si rende, praticamente, quasi impossibile da debellare.
Il Pediculus humanus si è prima differenziato in una specie autonoma a partire dal pidocchio (che sta su tutto il corpo) degli scimpanzé, e poi si è diviso in due sottospecie, del capo e del corpo, quando l’uomo ha perso il pelo corporeo e ha iniziato a vestirsi. Questo notevole cambiamento dell’aspetto degli uomini è databile, con una certa precisione, proprio misurando (e quindi calcolando il tempo necessario a produrla) la differenza genetica tra le due sottospecie di pidocchio. Quella del corpo è ormai molto rara dalle nostre parti, perché, vivendo sui vestiti, soffre molto l’aumento dei livelli di igiene personale e di temperatura dell’acqua alla quale si fanno i bucati. Quella del capo, invece, si disinteressa totalmente del livello igienico del suo ospite, tollera benissimo i lavaggi, ed è praticamente eliminabile solo meccanicamente, andando a rimuovere gli esemplari uno a uno, come fanno gli scimpanzé nell’attività cosiddetta di grooming (in tutto e per tutto uno spidocchiamento) che è, nelle loro società, uno dei passatempi più importanti, fondamentale nella creazione di rapporti di amicizia e collaborazione tra individui.