SignificatoRegistro di prima nota, scartafaccio, bozza, prima stesura
Etimologia dal francese brouillard ‘prima nota’, da brouiller ‘disordinare’, ma propriamente ‘mescolare’, da brou ‘brodo’, di origine germanica.
Questa parola ci mostra un equilibrio speciale fra alto e basso. Infatti è una parola di un registro abbastanza elevato, forte di una certa ricercatezza, che viene usata per indicare oggetti non proprio dappoco, e che però sono descritti con una modestia che arriva dritta allo spregio — a partire da una figura umilissima.
Il francese brouiller significa ‘mescolare’, ed è derivato di brou ‘brodo’, un termine di origine germanica — l’antico alto tedesco brod è alla base anche del nostro ‘brodo’. Brouillard prende il significato di ‘prima nota’ nel senso di prima stesura scritta male, buttata là in puro disordine: il ‘mescolare’ del brouiller passa facilmente al significato di ‘disordinare’. Quindi, a partire dal coacervo del brodo che sobbolle nella pignatta, arriviamo allo scartafaccio, al registro di prima nota, alla prima stesura. E tale è il brogliaccio.
Non faccio brogliacci della lista della spesa, però. Non scrivo brogliacci dell’agenda di una giornata ordinaria, non stendo brogliacci delle spese previste, se sono solite. Il brodaccio disordinato del brogliaccio è riservato a questioni di livello.
Posso fare un brogliaccio della lista della spesa sì, se è la spesa per la grande festa, che ne richiede una lunga e complessa, e su cui ci dovremo confrontare; posso fare un brogliaccio dell’incastro degli impegni della trasferta di lavoro, e faccio un brogliaccio delle spese previste per la vacanza del tutto nuova. Ancora, è un brogliaccio quello su cui facciamo i conti col fornitore, foglio volante ma di serietà contrattuale; in un vecchissimo diario troviamo un brogliaccio di un racconto famigliare che abbiamo sentito cento e cento volte; e mettendo tante mani avanti l’autrice dà all’editor un brogliaccio di ciò su cui sta lavorando, per avere le prime impressioni.
Qui è forte un certo understatement, un certo asteismo, una qual minimizzazione della bozza — non è un broglio, non è un ipotetico brogliardo, è proprio un brogliaccio, accio accio. (Peraltro, se ce lo stiamo chiedendo, ovvio che sì, anche l’imbroglio e lo sbrogliare fanno aggio sul caos del brodo.) Ma lo spregio non svilisce il brogliaccio: sminuendo, alluma l’importanza di ciò di cui è prima bozza, e paradossalmente così lo eleva. Lo fa in maniera molto più intensa della minuta, e molto più fattiva di schizzi e abbozzi.
Una gran tonalità, che nel suo gioco riflesso di umiltà e prestigio adombra una certa padronanza pratica della lingua.
Questa parola ci mostra un equilibrio speciale fra alto e basso. Infatti è una parola di un registro abbastanza elevato, forte di una certa ricercatezza, che viene usata per indicare oggetti non proprio dappoco, e che però sono descritti con una modestia che arriva dritta allo spregio — a partire da una figura umilissima.
Il francese brouiller significa ‘mescolare’, ed è derivato di brou ‘brodo’, un termine di origine germanica — l’antico alto tedesco brod è alla base anche del nostro ‘brodo’.
Brouillard prende il significato di ‘prima nota’ nel senso di prima stesura scritta male, buttata là in puro disordine: il ‘mescolare’ del brouiller passa facilmente al significato di ‘disordinare’. Quindi, a partire dal coacervo del brodo che sobbolle nella pignatta, arriviamo allo scartafaccio, al registro di prima nota, alla prima stesura. E tale è il brogliaccio.
Non faccio brogliacci della lista della spesa, però. Non scrivo brogliacci dell’agenda di una giornata ordinaria, non stendo brogliacci delle spese previste, se sono solite. Il brodaccio disordinato del brogliaccio è riservato a questioni di livello.
Posso fare un brogliaccio della lista della spesa sì, se è la spesa per la grande festa, che ne richiede una lunga e complessa, e su cui ci dovremo confrontare; posso fare un brogliaccio dell’incastro degli impegni della trasferta di lavoro, e faccio un brogliaccio delle spese previste per la vacanza del tutto nuova. Ancora, è un brogliaccio quello su cui facciamo i conti col fornitore, foglio volante ma di serietà contrattuale; in un vecchissimo diario troviamo un brogliaccio di un racconto famigliare che abbiamo sentito cento e cento volte; e mettendo tante mani avanti l’autrice dà all’editor un brogliaccio di ciò su cui sta lavorando, per avere le prime impressioni.
Qui è forte un certo understatement, un certo asteismo, una qual minimizzazione della bozza — non è un broglio, non è un ipotetico brogliardo, è proprio un brogliaccio, accio accio. (Peraltro, se ce lo stiamo chiedendo, ovvio che sì, anche l’imbroglio e lo sbrogliare fanno aggio sul caos del brodo.) Ma lo spregio non svilisce il brogliaccio: sminuendo, alluma l’importanza di ciò di cui è prima bozza, e paradossalmente così lo eleva. Lo fa in maniera molto più intensa della minuta, e molto più fattiva di schizzi e abbozzi.
Una gran tonalità, che nel suo gioco riflesso di umiltà e prestigio adombra una certa padronanza pratica della lingua.