SignificatoRelativo all’antica Caudium, o alla Valle Caudina; compare nell’espressione ‘forche caudine’, che descrivono una bruciante sopraffazione, umiliazione cui si viene costretti
Etimologia dal latino caudinum, da Caudium, antica città del Sannio.
Sarebbe un aggettivo che come mille altri ci parla in tutta semplicità di chi o ciò che ha a che fare con un luogo, se non fosse per un particolare: vive quasi esclusivamente in un’espressione polirematica (più parole che formano un lessema che si comporta sintatticamente e semanticamente come un’unità). Le forche caudine.
Con questa espressione si descrive un’umiliazione bruciante — ma non di quelle che vengono inflitte in campo aperto, liberamente. È una sopraffazione, una costrizione umiliante, che grava sulla dignità, e si è ridotti a subire da qualcuno che si trovi in una posizione di forza schiacciante. Ed è un’espressione blandamente ricercata, visto che significa questo genere di oltraggio attingendo a un celebre episodio della storia di Roma.
È il 321 a.C., e i Sanniti sono per la seconda volta in guerra con i Romani. In questa fase Roma non è ancora la superpotenza senza rivali (o con rivali molto grossi) che siamo abituati a immaginare: le sue mire espansionistiche devono fare i conti con gli altri popoli d’Italia — e quello dei Sanniti, che abitano l’entroterra del meridione fra quelli che oggi sono Abruzzo, Molise e Campania, e parlano osco, allora è (e sarà ancora per secoli) indomito e recalcitrante, forte di un’identità poco miscibile.
In quell’anno l’esercito romano, pare con un raggiro, viene portato a percorrere una scorciatoia fra dei monti vicino a Caudium, non lontano da Maleventum (sarebbe diventata auguralmente Beneventum, la nostra Benevento, dopo la sconfitta di Pirro re dell’Epiro del 275 a.C.). Naturalmente la strettoia è presidiata in maniera invincibile. Finiti come il topo nel sacco, i Romani subiscono un trattamento che continuerà a bruciare come pochi altri nella loro memoria: vengono tutti risparmiati. E però, spogliati di tutto, sono costretti ad andarsene passando sotto dei gioghi, delle forche costituite con due lance verticali piantate a terra e una orizzontale legata a un’altezza tale che, per passarci sotto, è necessario stare profondamente chini. Ecco le forche caudine.
È per questo episodio da romanzo di ventiquattro secoli fa che oggi continuiamo a usare questa espressione. Così ci tocca passare sotto le forche caudine della revisione del nostro articolo da parte di un professore supponente e impreparato, rimandiamo il più possibile le forche caudine di un’ammissione di colpa che dovremo rendere, e ci rassegniamo a passare sotto le forche caudine di una prova selettiva concepita male, o sotto a quelle di una burocraziabizantina e frustrante. Casi vissuti come sopraffazioni opprimenti e umilianti, che magari l’altezza dell’espressione, che dà loro un nome inquadrandoli come tipi sotto un caso esemplare, riesce a rappresentare in maniera lucida e forse meno cocente.
Ma anche se Caudium non esiste più e il luogo esatto dell’onta romana è nebuloso (nessuno ne portava memoria volentieri…), il caudino — forche a parte — continua a riferirsi all’area della radiosa Valle Caudina, fra Benevento e Avellino.
Sarebbe un aggettivo che come mille altri ci parla in tutta semplicità di chi o ciò che ha a che fare con un luogo, se non fosse per un particolare: vive quasi esclusivamente in un’espressione polirematica (più parole che formano un lessema che si comporta sintatticamente e semanticamente come un’unità). Le forche caudine.
Con questa espressione si descrive un’umiliazione bruciante — ma non di quelle che vengono inflitte in campo aperto, liberamente. È una sopraffazione, una costrizione umiliante, che grava sulla dignità, e si è ridotti a subire da qualcuno che si trovi in una posizione di forza schiacciante. Ed è un’espressione blandamente ricercata, visto che significa questo genere di oltraggio attingendo a un celebre episodio della storia di Roma.
È il 321 a.C., e i Sanniti sono per la seconda volta in guerra con i Romani. In questa fase Roma non è ancora la superpotenza senza rivali (o con rivali molto grossi) che siamo abituati a immaginare: le sue mire espansionistiche devono fare i conti con gli altri popoli d’Italia — e quello dei Sanniti, che abitano l’entroterra del meridione fra quelli che oggi sono Abruzzo, Molise e Campania, e parlano osco, allora è (e sarà ancora per secoli) indomito e recalcitrante, forte di un’identità poco miscibile.
In quell’anno l’esercito romano, pare con un raggiro, viene portato a percorrere una scorciatoia fra dei monti vicino a Caudium, non lontano da Maleventum (sarebbe diventata auguralmente Beneventum, la nostra Benevento, dopo la sconfitta di Pirro re dell’Epiro del 275 a.C.). Naturalmente la strettoia è presidiata in maniera invincibile. Finiti come il topo nel sacco, i Romani subiscono un trattamento che continuerà a bruciare come pochi altri nella loro memoria: vengono tutti risparmiati. E però, spogliati di tutto, sono costretti ad andarsene passando sotto dei gioghi, delle forche costituite con due lance verticali piantate a terra e una orizzontale legata a un’altezza tale che, per passarci sotto, è necessario stare profondamente chini. Ecco le forche caudine.
È per questo episodio da romanzo di ventiquattro secoli fa che oggi continuiamo a usare questa espressione. Così ci tocca passare sotto le forche caudine della revisione del nostro articolo da parte di un professore supponente e impreparato, rimandiamo il più possibile le forche caudine di un’ammissione di colpa che dovremo rendere, e ci rassegniamo a passare sotto le forche caudine di una prova selettiva concepita male, o sotto a quelle di una burocrazia bizantina e frustrante. Casi vissuti come sopraffazioni opprimenti e umilianti, che magari l’altezza dell’espressione, che dà loro un nome inquadrandoli come tipi sotto un caso esemplare, riesce a rappresentare in maniera lucida e forse meno cocente.
Ma anche se Caudium non esiste più e il luogo esatto dell’onta romana è nebuloso (nessuno ne portava memoria volentieri…), il caudino — forche a parte — continua a riferirsi all’area della radiosa Valle Caudina, fra Benevento e Avellino.