Etimologia voce dotta recuperata dal latino, derivata di roborare ‘irrobustire’ — a sua volta da robur ‘forza’, ma anche ‘quercia’ — col prefisso co-.
Questa parola di ricercatezza disinvolta ma che si fa notare, pronta ad alzare il tenore del discorso e segno immediato di un parlare sorvegliato, ci chiede di toccare una corda sorprendentemente profonda dell’immaginario più antico sotteso alla lingua — quella della quercia.
Siamo davanti a una voce dotta, presa in prestito nel Trecento (senza necessità di adattamenti) dal latino corroborare, che è un ‘rinvigorire’ e un ‘incitare’; questa voce deriva dal verbo roborare, ‘irrobustire’, che a sua volta è da robur. Ora, robur vuol dire anche forza, energia, durezza — ed è da qui che scaturisce la cascata di significati che scroscia fino al corroborare; ma è anche la quercia (Quercus robur): in una parola prossima, il rovere.
I linguisti dibattono se sia nato prima l’uovo o la gallina, se sia precedente il riferimento semantico all’albero o quello alla forza, ma gli approdi più recenti sembrano preferire come referente primo la quercia — anche per la vicinanza etimologica col ruber, cioè il rosso, tonalità cromatica che veniva percepita nel durame dell’albero. Questa, in una foto di Jean-Pol Grandmont, è una quercia farnia del parco del castello d’Enghien, in Belgio.
Così, volendo parlare delle eleganze del corroborare, ci dobbiamo appoggiare a un’immagine prima di ciò che in natura è forte e duro e robusto (anche robustus viene da robur). Quanta antica ammirazione, in questa associazione.
‘Corroborare’ significa quindi fortificare, rinvigorire, ritemprare: non un irrobustire assoluto e scontornato, ma concreto, presente in una situazione (nel cui insieme lo colloca il prefisso co-): qui una certa debolezza matura, conquista o è infusa di una maggiore solidità, tanto da godere di riflessi psicologici. Così diremo che un bicchiere di rosso e una cena calda in una sera di novembre corroborano lo spirito, che questo esercizio fisico corrobora come pochi altri, dopo un infortunio, o che una lettura amata è davvero corroborante.
Ma in maniera molto interessante il corroborare si sposta figuratamente anche sull’avvalorare, sul confermare: così come è un rinfrancare e un rinvigorire riferito a energie fisiche e mentali, il corroborare si sa proiettare su tensioni dialettiche. Posso quindi parlare di come la nuova rilevazione corrobori la mia tesi, di come la correttezza della mia decisione sia corroborata da risultati incoraggianti, di come l’ipotesi che pareva così esile sia stata corroborata da una dimostrazione inoppugnabile.
Insomma, in tutti questi casi, più o meno astratti, ci troviamo davanti a fusti fragili o infragiliti che si inquerciano. Meraviglia del corroborare.
Questa parola di ricercatezza disinvolta ma che si fa notare, pronta ad alzare il tenore del discorso e segno immediato di un parlare sorvegliato, ci chiede di toccare una corda sorprendentemente profonda dell’immaginario più antico sotteso alla lingua — quella della quercia.
Siamo davanti a una voce dotta, presa in prestito nel Trecento (senza necessità di adattamenti) dal latino corroborare, che è un ‘rinvigorire’ e un ‘incitare’; questa voce deriva dal verbo roborare, ‘irrobustire’, che a sua volta è da robur. Ora, robur vuol dire anche forza, energia, durezza — ed è da qui che scaturisce la cascata di significati che scroscia fino al corroborare; ma è anche la quercia (Quercus robur): in una parola prossima, il rovere.
I linguisti dibattono se sia nato prima l’uovo o la gallina, se sia precedente il riferimento semantico all’albero o quello alla forza, ma gli approdi più recenti sembrano preferire come referente primo la quercia — anche per la vicinanza etimologica col ruber, cioè il rosso, tonalità cromatica che veniva percepita nel durame dell’albero. Questa, in una foto di Jean-Pol Grandmont, è una quercia farnia del parco del castello d’Enghien, in Belgio.
Così, volendo parlare delle eleganze del corroborare, ci dobbiamo appoggiare a un’immagine prima di ciò che in natura è forte e duro e robusto (anche robustus viene da robur). Quanta antica ammirazione, in questa associazione.
‘Corroborare’ significa quindi fortificare, rinvigorire, ritemprare: non un irrobustire assoluto e scontornato, ma concreto, presente in una situazione (nel cui insieme lo colloca il prefisso co-): qui una certa debolezza matura, conquista o è infusa di una maggiore solidità, tanto da godere di riflessi psicologici. Così diremo che un bicchiere di rosso e una cena calda in una sera di novembre corroborano lo spirito, che questo esercizio fisico corrobora come pochi altri, dopo un infortunio, o che una lettura amata è davvero corroborante.
Ma in maniera molto interessante il corroborare si sposta figuratamente anche sull’avvalorare, sul confermare: così come è un rinfrancare e un rinvigorire riferito a energie fisiche e mentali, il corroborare si sa proiettare su tensioni dialettiche. Posso quindi parlare di come la nuova rilevazione corrobori la mia tesi, di come la correttezza della mia decisione sia corroborata da risultati incoraggianti, di come l’ipotesi che pareva così esile sia stata corroborata da una dimostrazione inoppugnabile.
Insomma, in tutti questi casi, più o meno astratti, ci troviamo davanti a fusti fragili o infragiliti che si inquerciano. Meraviglia del corroborare.