SignificatoRecipiente usato per fondere i metalli; luogo in cui si incontrano e fondono elementi diversi
Etimologia dall’antico francese croiseul ‘lucerna’, ma anche ‘crogiolo’, di origine incerta.
Anche il crogiòlo si è allontanato dalla nostra esperienza quotidiana: i processi produttivi si sono spostati dalle vie delle nostre case. Ce ne resta, al solito, il nome, forte di significati figurati di importanza estrema.
Il crogiolo è il recipiente di materiale refrattario in cui si fondono i metalli — uno strumento essenziale per molte attività, che si trova in forma di piccolo vasetto nei laboratori d’artigianato e di enorme recipiente nell’industria pesante. Sull’origine del termine si dibatte in maniera accesa. Il terreno pacifico su cui mettere i piedi è che l’origine sia francese, e che il primo referente sia una lampada.
Secondo alcuni, l’antico francese croiseul (che ha sia il significato di ‘lucerna’ sia quello di ‘crogiolo’) nasce da croix, ‘croce’: in origine si sarebbe trattato, quindi, di una lampada a forma di croce. Ma chi riporta questa teoria non spiega bene come diavolo è fatta una lampada a forma di croce, e a che scopo sarebbe fatta così. Altri risalgono all’ipotetica voce francone krok, ‘uncino’, adombrando una lampada da appendere. Altri ancora, invece, lo riconducono al ramo etimologico che ha dato i natali al francese creux, cioè ‘vuoto’: tanto la lampada (non elettrica, naturalmente) quanto il crogiolo hanno il loro centro strutturale in una cavità da riempire, con materiale incandescente o combustibile.
Il crogiolo è luogo di fusione. Così, figuratamente, diventa il luogo, l’ambiente, l’esperienza in cui avviene una fertile fusione di elementi differenti: la rivista può essere un crogiolo di idee, l’antica Roma e la Nuova York sono celebri crogioli di popoli da tutto il mondo, mentre un mese di lavoro spalla a spalla in un lembo di terra solitaria diventa un crogiolo di usi ed esperienze.
Forse per la positività del suo ruolo nel lavoro umano, il crogiolo prende questi significati quasi solo in un senso positivo. Ci basti pensare alla smaccata beatitudine del crogiolarsi — un cuocersi lentamente, sì, ma in una situazione piacevole, di cui ci si compiace, in cui ci si culla.
Al massimo della durezza, servendo anche a provare l’oro, a separarlo e a purificarlo (peraltro distruggendo così il manufatto d’oro, a differenza di qual che accade con la pietra di paragone). Così il crogiolo si può spingere a diventare la prova suprema, l’esame determinante e severo: le prove vengono messe nel crogiolo del dibattimento, il mio impegno nell’allenamento è posto al crogiolo della sfida agonistica, e con saggezza rimettiamo nel crogiolo ogni nostra decisione.
Il suo nome emerge in italiano nel Trecento, figlio della lingua volgare — e ha come varianti attestate anche coreggiuolo o groxolo. Viene da domandarsi come si chiamasse in latino, no? Senza gran fantasia, pare fosse detto vasculum fusorium, ‘vasetto di fusione’.
Anche il crogiòlo si è allontanato dalla nostra esperienza quotidiana: i processi produttivi si sono spostati dalle vie delle nostre case. Ce ne resta, al solito, il nome, forte di significati figurati di importanza estrema.
Il crogiolo è il recipiente di materiale refrattario in cui si fondono i metalli — uno strumento essenziale per molte attività, che si trova in forma di piccolo vasetto nei laboratori d’artigianato e di enorme recipiente nell’industria pesante. Sull’origine del termine si dibatte in maniera accesa. Il terreno pacifico su cui mettere i piedi è che l’origine sia francese, e che il primo referente sia una lampada.
Secondo alcuni, l’antico francese croiseul (che ha sia il significato di ‘lucerna’ sia quello di ‘crogiolo’) nasce da croix, ‘croce’: in origine si sarebbe trattato, quindi, di una lampada a forma di croce. Ma chi riporta questa teoria non spiega bene come diavolo è fatta una lampada a forma di croce, e a che scopo sarebbe fatta così. Altri risalgono all’ipotetica voce francone krok, ‘uncino’, adombrando una lampada da appendere. Altri ancora, invece, lo riconducono al ramo etimologico che ha dato i natali al francese creux, cioè ‘vuoto’: tanto la lampada (non elettrica, naturalmente) quanto il crogiolo hanno il loro centro strutturale in una cavità da riempire, con materiale incandescente o combustibile.
Il crogiolo è luogo di fusione. Così, figuratamente, diventa il luogo, l’ambiente, l’esperienza in cui avviene una fertile fusione di elementi differenti: la rivista può essere un crogiolo di idee, l’antica Roma e la Nuova York sono celebri crogioli di popoli da tutto il mondo, mentre un mese di lavoro spalla a spalla in un lembo di terra solitaria diventa un crogiolo di usi ed esperienze.
Forse per la positività del suo ruolo nel lavoro umano, il crogiolo prende questi significati quasi solo in un senso positivo. Ci basti pensare alla smaccata beatitudine del crogiolarsi — un cuocersi lentamente, sì, ma in una situazione piacevole, di cui ci si compiace, in cui ci si culla.
Al massimo della durezza, servendo anche a provare l’oro, a separarlo e a purificarlo (peraltro distruggendo così il manufatto d’oro, a differenza di qual che accade con la pietra di paragone). Così il crogiolo si può spingere a diventare la prova suprema, l’esame determinante e severo: le prove vengono messe nel crogiolo del dibattimento, il mio impegno nell’allenamento è posto al crogiolo della sfida agonistica, e con saggezza rimettiamo nel crogiolo ogni nostra decisione.
Il suo nome emerge in italiano nel Trecento, figlio della lingua volgare — e ha come varianti attestate anche coreggiuolo o groxolo. Viene da domandarsi come si chiamasse in latino, no? Senza gran fantasia, pare fosse detto vasculum fusorium, ‘vasetto di fusione’.