Dotto

dòt-to

Significato Che ha una grande cultura, o una forte preparazione in una particolare disciplina; erudito

Etimologia voce dotta recuperata dal latino doctus propriamente participio passato di docère ‘insegnare, istruire’.

C’è una ragione particolare per parlare qui di ‘dotto’ — e non è l’ammirazione per il capo dei sette nani. Ma andiamo con ordine.

‘Dotto’ è una parola insieme fine e… apparentemente semplice. La parte di semplicità apparente è che nasce dal participio passato del verbo latino docère, e quindi la persona dotta è stata istruita, ha ricevuto, accolto un insegnamento. Ma questa bella pianta del docere, da cui l’ancora freschissimo ruolo di ‘docente’, ha un nocciolo di significato stupendo, e parentele impensate. Se dicessimo che il docente ha a che fare col decente, ad esempio, sarebbe solo un gioco di parole?

La radice indoeuropea ricostruita come dek- (o dok-) ha il senso originario di ‘accettare’. Il docère ha il primo senso di ‘far accettare qualcosa’ — e già questo, che ‘insegnare’ sia ‘far accettare’, è un dato meravigliosamente eloquente su questo fenomeno (quando diciamo che la vita stessa ci ha insegnato qualcosa, non è forse che ce lo ha fatto accettare?).

Ma ‘decoro’, ‘dignità’, ‘decenza’, così come ‘disciplina’ e ‘docilità’, e sul versante greco la prole dell’omologo didásko ‘insegnare’, come ‘didascalia’ e ‘didattica’, e ancora ‘dogma’, e tutti quei composti con l’elemento ‘-dosso’ (da dóxa, ‘opinione’), da ‘paradosso’ a ‘ortodosso’, sono nella foto di famiglia. C’è da stringersi — e noi adesso possiamo riconoscere questo tipo di ‘ricevere’ ideale, morale, che si diffonde in maniera tentacolare e che fonda concetti così disparati.

Certo che ‘dotto’ per forza di cose non è una parola molto a fuoco. Con questo carattere di chi è esperto, istruito, di chi ha ricevuto un insegnamento, può avere un respiro generale o particolare: possiamo parlare di persone dotte con cui è molto piacevole intrattenersi a parlare — un dotto che sa ampiamente di sapiente, in cui ogni specificazione diventa una riduzione; ma possiamo anche parlare di una persona molto dotta in musica, in matematica — dando quindi la dimensione di un sapere vasto e caratterizzato, in una certa disciplina.
Spesso suona più sobrio rispetto all’erudito e al sapiente, meno meramente pratico dell’esperto, più concreto del colto.

Senza contare, abbandonando le persone per le cose, i film densi di citazioni dotte, i libri dotti che legge sempre la nostra compagna, lo studio delle lingue dotte (cioè greco e latino), storicamente contrapposte alle volgari.
E di qui arriviamo a un punto più strettamente linguistico che su queste pagine ci interessa molto: ‘dotto’, si dice, è una ‘voce dotta’. Ma in che senso?

Non è dotta nel senso che è una parola fine usata da gente erudita — o meglio, lo è in senso storico.
Quando in un’etimologia diciamo che una parola presa da latino o greco è una ‘voce dotta’, intendiamo che non è stata usata dalla vasta massa dei parlanti senza soluzione di continuità attraverso il medioevo, dall’antichità a oggi: a esempio contrario, ‘giorno’ è una parola ereditaria o di tradizione popolare (non dotta), derivata di (tempus) diurnum, detto e ripetuto e modificato dalla gente d’Italia per secoli fino a farne ‘giorno’.

Parlando di parole ‘dotte’ intendiamo piuttosto parole che hanno continuato ad essere frequentate e usate nei libri, in latino, e in genere nel parlare e nello scrivere dei dotti.
È successo migliaia di volte: a un certo punto — per l’italiano siamo di solito fra Due e Trecento, ma si continua ancora molto fino a tutto il Rinascimento — gli intellettuali, che usavano regolarmente il latino, hanno italianizzato una parola latina che in italiano non c’era e che però gli sarebbe tornata comoda.
Peraltro non di rado quella parola latina aveva già avuto esiti popolari, e quindi ci troviamo con queste coppie o gruppi di parole (allotropi) che arrivano dalla stessa parola latina per via dotta o per via popolare — minister diventa dottamente ‘ministro’, ma aveva già dato luogo popolarmente alla ‘minestra’ e al ‘mestiere’.

Le parole dotte sono prese in prestito, allo stesso modo in cui oggi prendiamo in prestito parole inglesi, ad esempio. Peraltro non senza analoghe polemiche: il cavalier Lionardo Salviati, fra i fondatori dell’Accademia della Crusca, persona che diede un impulso molto forte alla futura stesura del primo vocabolario della lingua italiana (fra i primi al mondo, nel 1612, ma lui era morto nel 1589), ce l’aveva mortalmente con questi latinismi che imbarbarivano la bella lingua che ancora si parlava e scriveva nel Trecento.

Così per noi oggi parlare di una ‘voce dotta’, o spiegare che una parola è di ‘tradizione dotta’, ha questo senso specifico: potremmo dire semplicemente che si tratta di un prestito adattato dai dotti a partire da una lingua dotta. Quanta dottrina!

Parola pubblicata il 20 Dicembre 2024