Denso

dèn-so

Significato Che ha una grande massa concentrata in un piccolo volume; spesso, ricco, folto

Etimologia dal latino densus, di una radice indoeuropea ricostruita col significato di ‘spesso’.

Mi colpisce sempre quando, nel racconto di ricette, si parla di salse ‘spesse’. Sento in maniera così forte che la parola giusta dovrebbe essere ‘dense’! Ecco, scavando nell’etimologia di una parola come denso, e quindi sotto al densus latino, ci si accorge che sono concetti colleghi di vecchia data.

Pur avendo origini differenti, senza parentela anche se in un medesimo alveo indoeuropeo, l’uno ha sempre avuto una porzione di significato dell’altro. Peraltro si tratta di parole fondamentali, che tendono ad avere una capacità di conservazione eloquente — similissime nella forma e nel significato a quanto erano prima di ogni testimonianza scritta.

Noi, ai giorni nostri, tendiamo a dare al denso una prima definizione particolarmente elegante, quanto lo può essere una che strizza l’occhio alle compostezze della fisica classica: è denso un corpo che ha una grande massa concentrata in un piccolo volume, di scarsa fluidità. Una definizione a cui certamente pensiamo, quando ragioniamo di stelle di neutroni o di maionesi sode.

Però resta una chiave concreta con cui in maniera disinvolta apriamo molte porte del mondo — e qui vediamo la prossimità col fitto, con lo spesso, col ricco: è densa la nebbia, denso il fumo, denso il buio che si ammassa in certi vicoli veneziani; molto accade e si nota in una narrazione densa, il film può essere denso di grandi trovate immaginifiche, denso un periodo storico; ma anche densa la chioma di persone e di alberi, denso il bosco profondo.


C’è una pagina della storia della nostra lingua in cui questa parola si staglia con un’importanza speciale: è una pagina che non è entrata nella cultura generale, e che però ogni specialista ha bene in mente, perché è assolutamente cardinale.
Nel 1872 uscì una nuova rivista: l’Archivio Glottologico Italiano (che peraltro non solo esiste ancora, ma è ancora un prestigioso punto di riferimento nello studio della linguistica). Il suo fondatore, Graziadio Isaia Ascoli, scrisse un proemio al primo numero destinato ad essere ricordato: una corrente maggioritaria, con criteri poco scientifici, si ostinava a voler affermare un modello fiorentino o toscano per la lingua di tutta Italia, ma a contrario Ascoli, al fine dell’affermazione diffusa di una lingua nazionale (anche se con strumenti rétro) prospettò un’analisi lucida dei problemi del contesto e una soluzione estremamente in salita — come spesso fanno le persone di scienza.

Il primo e più pressante problema che individuò nella ‘civiltà italiana’ è la scarsa densità della cultura. In quanto a vette di genio non abbiamo da invidiare nessuno, ma sono vette solitarie, a cui manca la collocazione in un tessuto che li segua in un’opera assidua e diffusa — quel tessuto di attività civile che è determinante nel fissare in maniera autentica e viva il canone di una lingua nazionale. Per Ascoli il lavoro non doveva essere condotto sul confezionamento di un modello linguistico, ma sull’innalzamento culturale della popolazione, in primis combattendo l’analfabetismo; da questa promozione la lingua comune sarebbe semplicemente emersa, senza necessità di confezioni dall’alto. Ci sono ragioni per dire che è stato così, ci sono ragioni per dire che non è stato così.

Ciò che resta è un concetto — la densità della cultura — a cui si continua a ricorrere ancora oggi (ad esempio lo fa De Mauro parlando di anglismi in italiano): le parole imprescindibili, con alte sorti scientifiche e popolari, possono conoscere applicazioni proverbiali, che circoscrivono e conservano pezzi problematici della tradizione.

Parola pubblicata il 18 Novembre 2021