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Che cos’è l’indoeuropeo?

Chiariamo una questione ricorrente e fascinosa, che però spesso è malintesa, alla ricerca di connessioni storiche e linguistiche tra luoghi e culture distanti.

Ricordo nitidamente come la prima volta in cui sentii parlare di ‘indoeuropeo’ (o ‘indeuropeo’ che dir si voglia) rimasi da subito affascinata da quel termine che, con una carica evocativa così elevata, mi faceva pensare tanto all’India quanto all’Europa. Mi domandavo quale connessione potesse esistere tra due luoghi geograficamente così lontani. Dietro questo termine c’è un mondo, in cui affondano le radici della nostra lingua e di quelle dei nostri antenati.

Le lingue indoeuropee, parenti sparsi per il mondo

Di che cosa stiamo parlando? Che cosa rappresenta questo termine?

Con ‘indoeuropeo’, termine coniato dallo scienziato britannico Thomas Young nel 1813, si intende sia la famiglia linguistica sia l’antenato comune, la protolingua, da cui sono discese tutte le lingue indoeuropee. Una protolingua non è altro che una lingua primitiva ricostruita (poiché priva di attestazioni scritte) mediante la comparazione tra le lingue da essa derivate, storicamente attestate e tra loro imparentate: questo è il metodo della linguistica storico-comparativa.

Tale metodo si compone di tre fasi:

  1. ricostruzione delle fasi più antiche internamente a una  certa lingua
  2.  comparazione delle forme più antiche attestate nelle diverse lingue
  3. ricostruzione della forma comune, ossia quella originaria che sta alla base delle attestazioni storiche.

Uno dei nomi più famosi che possiamo associare a tale metodo è quello del tedesco Franz Bopp, riconosciuto come padre della linguistica storico-comparativa.


L’indoeuropeo è anche una delle tante famiglie linguistiche esistenti al mondo, ma ricopre un’importanza fondamentale per noi in quanto rappresenta la nostra famiglia linguistica. Essendo una famiglia davvero numerosa è costituta da gruppi o classi. Si tratta di un vero e proprio albero genealogico, parecchio robusto, i cui rami sono i seguenti: germanico; celtico; italico; balto-slavo; ellenico; albanese; anatolico; armeno; indo-iranico; tocario. Ciascuno di questi si articola, a sua volta, in sotto-gruppi. Elenchiamo solo alcune tra le lingue appartenenti a ciascun ramo:

  • Gruppo germanico: danese; svedese; norvegese; islandese; gotico (importante perché utilizzato per la traduzione della Bibbia ad opera del vescovo Wulfila). Pare lecito domandarsi:
  • il finlandese dove è finito? Questa domanda mi fornisce un assist per nominare una famiglia linguistica diversa da quella indoeuropea, ossia quella uralica, cui appartiene la lingua della Finlandia.
  • Gruppo celtico: irlandese; scozzese; gallese; brettone (Bretagna francese).
  • Gruppo italico: lingue italiche come l’osco; latino, da cui derivano le lingue romanze o neolatine, ossia portoghese; castigliano o spagnolo; catalano (Catalogna, Baleari, città sarda di Alghero etc.); francese; provenzale (Provenza, nel sud della Francia); italiano; sardo; friulano; romancio svizzero; ladino (valli alpine tra le province di Bolzano, Trento e Belluno); rumeno.
  • Gruppo balto-slavo: lituano; lèttone; polacco; ceco; slovacco; russo; ucraino; sloveno; croato; macedone; bulgaro.
  • Gruppo ellenico: greco antico; neogreco.
  • Albanese: è una lingua isolata, esattamente come il greco, vale a dire una sorta di ‘figlia unica’ all’interno della famiglia, priva di altre lingue-sorelle.
  • Gruppo anatolico: la più importante tra queste lingue è l’ittita o ittito, la lingua indoeuropea di più antica attestazione (II millennio) e la cui documentazione, redatta in alfabeto cuneiforme, consiste in numerose tavolette di argilla appartenenti agli archivi reali. La scoperta risale alla prima metà del XIX secolo, in occasione di una spedizione archeologica che portò alla luce l’antica città di Ḫattuša (nell’odierna Turchia), capitale dell’impero ittita; mentre la decifrazione è avvenuta intorno al 1915 ad opera dell’indoeuropeista ceco Hrozný. La scoperta e la decifrazione dell’ittita hanno dato un forte impulso alla storia dell’indoeuropeistica.  
  • Armeno.
  • Gruppo indo-iranico: avestico (lingua dell’Avesta, il libro sacro dello zoroastrismo, fondato dal profeta Zarathustra); antico persiano (quello dei grandi re come Serse); persiano moderno o farsī; curdo; afgano o pastho; vedico (lingua legata alla religione vedica: i Veda costituiscono i più antichi testi sacri indiani); sanscrito (lingua letteraria indiana); i dialetti pracriti (impiegati per la comunicazione quotidiana e di cui ricordiamo il pāli, lingua del buddhismo); dai dialetti pracriti provengono le moderne lingue dell’India, quali hindi, urdu (Pakistan), bengali (Bangladesh).
  • Tocario: la più orientale di tutte le lingue indoeuropee, parlata nell’attuale Xinjiang cinese.

In particolare il sanscrito, lingua fra le più celebri fra quelle che abbiamo nominato, merita una considerazione a parte, perché la sua osservazione fu determinante nelle prime realizzazioni di una parentela fra lingue.

Sir William Jones, giurista e orientalista britannico, durante una conferenza tenutasi nel 1786 alla “Società Asiatica” di Calcutta, espone la sua riflessione sulle affinità che tale lingua mostrava con il greco e con il latino. Queste evidenti somiglianze sono spiegabili riconducendo tali lingue ad un antenato comune. La “scoperta” della «lingua perfetta» sancisce la nascita della linguistica storico-comparativa come scienza.

Il sanscrito, quale che sia la sua antichità, è una struttura meravigliosa, più perfetta del greco, più vasta del latino e più squisitamente raffinata sia dell’uno che dell’altro; inoltre, presenta rispetto ad entrambe sia nelle radici dei verbi che nelle forme grammaticali un’affinità così stretta che è impossibile considerarla casuale; così forte, che nessun filologo potrebbe esaminarle tutte e tre senza pensare che siano nate da una fonte comune che, probabilmente, è ormai estinta. Esistono ragioni simili, sia pure non così cogenti, che lasciano supporre che sia il gotico che il celtico, benché mescolati con un idioma differente, abbiano a loro volta la medesima origine del sanscrito. Alla stessa famiglia va aggiunto anche il persiano antico.

Gli indoeuropei e la ricerca infinita della loro patria

Un’altra annosa questione, che ha acceso un vivo dibattito, è legata all’Urheimat, ossia la protopatria dalla quale gli indoeuropei si diffondono alla volta non solo dell’Europa, ma anche di terre lontane come l’India e la Cina. Da dove provengono questi popoli? Numerose ipotesi sono state formulate in merito: in generale, diciamo che le prime teorie localizzano la terra d’origine nell’Europa centrale o settentrionale e nei Balcani.

Alcune tra le teorie più famose sono legate ai nomi di Marija Gimbutas, archeologa lituana, Colin Renfrew, archeologo britannico, e i linguisti Tamaz Gamkrelidze e Vjačeslav Ivanov: la prima, intorno agli anni '70, indica come patria le steppe russe e le regioni forestali tra i fiumi russi Dnieper e Volga, sulla base di ritrovamenti della cosiddetta cultura kurgan che la studiosa associa ai protoindoeuropei a partire dal V millennio a.C. e la cui caratteristica principale è data dalle tombe a tumulo; per il secondo (1987), la sede originaria sarebbe da collocare nell’Anatolia (odierna Turchia) del periodo Neolitico.

Infine, i terzi (1984) sono sostenitori dell’ipotesi che i popoli indoeuropei provenissero dalla zona a sud del Caucaso, sistema montuoso tra il Mar Nero e il Mar Caspio, e che le migrazioni fossero da riferire all’età del bronzo.

La cultura indoeuropea: “finché c’è guerra c’è speranza”

Gli elementi essenziali della cultura indoeuropea sono stati ricostruiti mediante il cosiddetto metodo testuale, vale a dire il confronto contenutistico delle antiche attestazioni scritte nelle varie lingue indoeuropee. Ad ogni modo, è bene specificare che, a causa di anacronismi e imprecisioni legati a vuoti storici, il rischio di illustrare un sistema culturale falsato è alto.

Stando agli studiosi più ottimisti, la religione che si è andata delineando risulta essere alquanto particolare: un pantheon tripartito sulla base di tre sfere (il sacro, il benessere e la guerra); la pratica rituale e sacra di sacrifici umani e animali; una visione cupa dell’oltretomba e tragica della morte, vista solamente come una tappa obbligata di un ciclo e, forse, l’inizio di un’altra vita (dimentichiamo i Campi Elisi del film Il Gladiatore, se non per pochi eletti). In generale, potrebbe trattarsi di una religione molto diversa da quella che concepiamo noi attualmente: nessuna domanda filosofica volta alla ricerca dei come, quando e perché; nessun rapporto di fiducia verso le divinità, ma solo una relazione egoistica e pragmatica fondata su favori e su una costante captatio benevolentiae.

Anche le relazioni amorose non sono sicuramente caratterizzate da toni troppo romantici: il matrimonio è visto come un legame violento e la donna diviene una sorta di ‘bene’ per l’uomo, il quale diventa suo possessore tramite un rapimento (basti pensare all’episodio del “ratto delle Sabine”) o un accordo tra famiglie. A capo della società vi è, naturalmente (per l’epoca), un re coadiuvato da un consiglio di anziani; a grandi linee, siamo dinanzi a una società patriarcale – anche le divinità sono prettamente maschili – all’interno della quale pare che i guerrieri abbiano un ruolo predominante.

Nei periodi di pace gli uomini sono principalmente dediti all’allevamento del bestiame; nei tempi di guerra, invece, gli stessi uomini si dedicano alla battaglia per il raggiungimento di un unico fine: la gloria immortale. Tanto si sa: dopo la morte non si conosce che cosa ci sarà esattamente, quindi tanto vale morire per essere almeno ricordati! A tramandare le loro gesta, di generazione in generazione, pensano i poeti, gli artigiani della parola, il cui compito fondamentale è proprio quello di perpetuare i nomi e le imprese degli eroi.

La favola

August Schleicher, un altro noto glottologo tedesco, nel 1868 scrive una favoletta, i cui protagonisti sono una pecora e i cavalli, interamente in indoeuropeo (o, meglio, in quella lingua che riteneva essere indoeuropea) e intitolata Avis akvāsaska (‘la pecora e i cavalli’).

Di seguito la traduzione proposta da Francisco Villar, linguista spagnolo, nel suo celebre Gli indoeuropei e le origini dell'Europa:

Una pecora tosata vide dei cavalli, uno dei quali tirava un pesante carro, un altro portava un grande carico e un altro trasportava un uomo. La pecora disse ai cavalli: «Mi piange il cuore vedendo come l'uomo tratta i cavalli». I cavalli le dissero: «Ascolta pecora, per noi è penoso vedere che l'uomo, nostro signore, si fa un vestito con la lana delle pecore, mentre le pecore restano senza lana». Dopo aver sentito ciò, la pecora se ne fuggì nei campi.

Francisco Villar, “Gli indoeuropei e le origini dell'Europa”

A titolo di curiosità vediamo anche il testo originale di Scheicher, che recita così:

Avis, jasmin varnā na ā ast, dadarka akvams, tam, vāgham garum vaghantam, tam, bhāram magham, tam, manum āku bharantam. Avis akvabhjams ā vavakat: kard aghnutai mai vidanti manum akvams agantam. Akvāsas ā vavakant: krudhi avai, kard aghnutai vividvant-svas: manus patis varnām avisāms karnauti svabhjam gharmam vastram avibhjams ka varnā na asti. Tat kukruvants avis agram ā bhugat.

La storia della pecora tosata e dei cavalli poco affabili è stata la base per ulteriori studi sul protoindoeuropeo in cui si sono cimentati molti linguisti e il risultato è stato una serie di versioni differenti: questo ci permette di capire quanto grande fu, e continua ad essere, il desiderio di giungere alla ricostruzione definitiva della madre di tutte le moderne lingue indoeuropee.

Il giro del mondo in meno di un minuto

Ma c’è un modo per dominare a colpo d’occhio questa ramificazione labirintica? Concentriamoci sulla parola ‘fratello’ in alcune lingue indoeuropee. Tutte hanno origine da un’unica radice ricostruita, ossia *bhrā́ter-. Per quanto possa sembrare insolito, da questa parola, apparentemente strana e incomprensibile, deriva tutto quello che segue:

  • φράτηρ (phrā́tēr) GRECO
  • bhrā́tār                SANSCRITO
  • frātĕr                   LATINO
  • fratrum                UMBRO ANTICO
  • fratrúm                OSCO
  • brōþar                 GOTICO
  • brother                INGLESE
  • Bruder                 TEDESCO
  • bratrŭ                  ANTICO SLAVO
  • broterė̃lis             LITUANO
  • brāth(a)ir            ANTICO IRLANDESE
  • brōðir                  ANTICO ISLANDESE
  • ełbair                  ARMENO

Si potrebbero fare tanti altri esempi e il risultato sarebbe sempre lo stesso: una somiglianza straordinaria che non può certamente essere frutto del caso o della magia, ma trova la sua spiegazione scientifica proprio nella derivazione di tali lingue dal medesimo ceppo.
Non è strano che tutto questo abbia un fascino unico.

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