Flautato

flau-tà-to

Significato Aggettivo che indica un suono simile a quello prodotto dal flauto, strumento aerofono composto da un tubo (o da più canne, come il flauto di Pan o siringa), in cui le note sono prodotte dalla vibrazione dell’aria insufflata attraverso un foro posizionato all’imboccatura dello strumento. Figuratamente, attributo per un suono o una voce dolce, melodiosa e carezzevole

Etimologia da flauto, dall’occitano flaùt, di origine incerta.

Dopo pochi istanti il marito sonnecchiava con un lieve flautare di gola che sta per russare.

Filippo Tommaso Marinetti, ‘Come si seducono le donne’

Tullio De Mauro attribuisce l’introduzione del verbo ‘flautare’ nella lingua italiana corrente al futurista Tommaso Marinetti e al suo romanzo, uscito nel secondo decennio del Novecento. Da lì proviene il participio passato, con funzione aggettivale, del verbo formato sul termine ‘flauto’, a sua volta derivato dall’occitano flaùt, probabilmente d’origine imitativa. Sennonché, c’è chi opina che la parola si sia formata per sovrapposizione di flaujol (in antico francese indicava uno strumento a fiato simile al flauto, il flagioletto) e liuto; questa spiegazione calza a pennello nella lingua inglese, che chiama i due strumenti flute e lute. Potremmo invece coinvolgere le syllabae fa-la-ut della solita solmisazione? Forse no, però staremmo in buona compagnia con Vincenzo Galilei, il papà di Galileo, che erroneamente proponeva la-ut come ‘timologia’ del nome liuto. C’è poi chi ipotizza un sostrato paleobalcanico. Per esempio, nell’aromeno (lingua della famiglia neolatina del romeno, parlato in aree extraterritoriali) fluér è il flauto del pastore… ma l’esito non cambia e l’etimologia ultima rimane dibattuta.

Gli strumenti a fiato emettono un suono strettamente legato alla voce umana, che per essere prodotto richiede la partecipazione di organi respiratorî e fonatorî dell’esecutore. Perciò, le parole fiato e flauto sono molto simili. Se qualcuno pensa alla flatulenza, questa deriva dal participio passato di flāre ‘soffiare’; in latino appartiene alla famiglia lessicale di fluĕre ‘fluire’ e potrebbe essere l’antenato etimologico anche del flaùt occitano-romanzo.

Flauti e zampogne sono gli strumenti pastorali per eccellenza; la cultura ellenistica attribuiva agli strumenti a fiato un ruolo inferiore rispetto a quelli a corda, simboleggiati rispettivamente dall’aulos e dalla cetra. La citarodia era il canto accompagnato dalla cetra e occupava un livello superiore rispetto all’aulodia, anche per il motivo che quest’ultima non consentiva all’esecutore di cantare. Ne fa fede il mito dello sventurato aulete Marsia che perse la sfida e la vita contro Apollo. E poi c’era Pan, col flauto policàlamo (a più canne) che porta il suo nome, accompagnato da torme di satiri. Parecchi secoli dopo comparvero Papageno, Tamino e il Flauto magico. Nel mondo esistono inoltre vari tipi di flauti, dalla quena andina al nay del Vicino Oriente e via dicendo.

La notazione musicale è normalmente ‘a otto piedi’, vale a dire che l’altezza del suono scritto corrisponde a quella eseguita. Non tutti sanno che il flauto a becco o flauto dolce, così come l’ottavino nell’orchestra, sono strumenti traspositori e suonano le note un’ottava più acuta rispetto a quello che leggono, cioè ‘a quattro piedi’.

Nell’orchestra moderna i flauti appartengono alla famiglia dei legni, poiché originariamente erano costruiti con questo materiale, mentre i flauti moderni sono in metallo, di solito argento, oro o platino, ma sono sempre considerati legni. Si tratta di una famiglia organologica comprendente anche gli strumenti ad ancia: oboi, clarinetti e fagotti.

A proposito di metalli nobili, Benvenuto Cellini suonava molto bene il flauto, anche se non seguì mai quella carriera, come sperava inutilmente il padre, ‘piffero’ ufficiale del Municipio di Firenze. In quegli stessi anni Silvestro Ganassi scrisse la Fontegara (1535), il primo trattato interamente dedicato alla pratica di uno strumento, il flauto a becco.
Il timbro particolare del flauto ha svincolato l’aggettivo ‘flautato’ dall’ambito musicale, dove tecnicamente indica i suoni morbidi prodotti sugli strumenti ad arco sfiorando con leggerezza e rapidità le corde.

Dunque, come esemplifica l’incipit, fuori dalla musica gli usi figurati di ‘flautato’ si riscontrano copiosi sia nella lingua parlata, sia nella letteratura. Gli altri strumenti, invece, non hanno prodotto né l’oboato e né il trombonato. E ci fermiamo qui

Parola pubblicata il 29 Maggio 2022

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