Ghibellino
ghi-bel-lì-no
Significato Nel Medioevo, partigiano della casata Hohenstaufen; in Italia, partigiano dell’imperatore del Sacro Romano Impero
Etimologia da Weiblingen, nome di un castello degli Hohenstaufen, situato nell’attuale regione tedesca del Baden-Württemberg, nel sud-ovest della Germania.
Parola pubblicata il 30 Dicembre 2016
Le parole della storiografia - con Alessandra Quaranta
Con Alessandra Quaranta, giovane dottoressa di ricerca in Storia, un venerdì ogni due vedremo quali sorprese sappia riservare un approccio storiografico alle parole più consuete.
L’aggettivo ‘ghibellino’ ci rimanda alle due fazioni che si fronteggiarono durante le lotte per la successione al trono del Sacro Romano Impero, apertesi con la morte di Enrico V (1125), esponente della casata nobiliare tedesca degli Hohenstaufen. Questi ultimi erano i proprietari del castello svevo di Weiblingen, nome traslitterato in italiano con ‘ghibellino’. Enrico V Hohenstaufen non riuscì a far eleggere come successore l’esponente da lui designato, e i prìncipi tedeschi elessero Lotario II, appartenente alla casata bavarese dei Welf, da cui l’italiano ‘guelfo’. La stessa cosa accadde alla morte di Lotario: i prìncipi elessero al trono un esponente della casata rivale dell’imperatore deceduto: Corrado III degli Hohenstaufen (1137-1152).
Se in origine la lotta tra guelfi e ghibellini si combatté tra due casate nobiliari tedesche, in seguito questo scontro assunse le sembianze della lotta tra Papato (parte guelfa) e Impero (parte ghibellina). Ciò avvenne quando sul trono del Sacro Romano Impero prevalse definitivamente, nelle figure di Federico I Barbarossa prima e di suo nipote Federico II poi, la casata sveva.
Federico I attuò un programma di restaurazione dell’autorità imperiale a detrimento dell’autonomia dell’amministrazione comunale milanese. Contro tali intenzioni Milano e numerosi Comuni lombardi e veneti organizzarono un grande movimento di opposizione. La guerra che ne derivò si concluse nel 1183 con una soluzione di compromesso, che al di là di alcuni diritti concessi ai Comuni (costruire fortezze, unirsi in leghe, …), di fatto siglava la loro dipendenza dall’Imperatore.
In seguito, la volontà da parte di Federico II, Re del Regno di Sicilia dal 1198 e Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1220, di controllare, anche indirettamente, tutta la penisola italiana, lo portò a scontrarsi con Papa Gregorio IX. Le città italiane furono costrette allora a prendere posizione a favore di una delle due parti: i Comuni del Nord Italia strinsero alleanza con il Papato, andando a costituire il blocco guelfo-pontificio, mentre le città ghibelline (Parma, Pisa, Verona) si schierarono per il Regno di Sicilia e Federico II.
Ma il conflitto tra Papato e Impero era cominciato già nell’XI secolo. Al centro del contendere vi era l’elezione dei vescovi. Essa era di competenza del clero diocesano, ma accedere a tale carica comportava che il vescovo divenisse titolare di diritti sulle terre e sugli uomini che costituivano la dotazione del vescovado. Erano gli imperatori che si riservavano il diritto di concedere l’investitura dei benefici materiali connessi con il titolo di vescovo. Tuttavia, spesso gli imperatori consegnavano anche i simboli del potere spirituale: l’anello e il bastone ricurvo detto ‘pastorale’.
La lotta per le investiture ebbe origine proprio dalla difficoltà di distinguere l’investitura ecclesiastica (elezione canonica e consacrazione) dall’investitura laica (consegna al vescovo di beni e diritti). Il Concordato di Worms (1122) stabilì che l’Imperatore dovesse mantenere l’investitura temporale, cioè la trasmissione al vescovo dei beni e delle funzioni amministrative, e che esclusivo fosse il diritto del Papa a concedere l’investitura spirituale.
Le ragioni del conflitto tra Papato e Impero possono essere rintracciate ancora più in là nel tempo: con la proclamazione da parte di Carlo Magno del Sacro Romano Impero nella notte di Natale dell’800, in Occidente emerse una potenza politica in grado, almeno nelle intenzioni, di raccogliere e assumere su di sé l’eredità dell’Impero Romano. E la Chiesa, che proprio allora cominciava a muovere i primi passi nella definizione della propria autorità politica, si trovò di fronte a un potere unitario in grado di rappresentare una potenziale minaccia. Benché Carlo Magno, incoronato da Papa Leone III, avesse riconosciuto il primato spirituale della Chiesa, e benché entrambi, Imperatore e Pontefice, si fossero mostrati disponibili a collaborare, le vicende in seguito conobbero tutt’altra evoluzione.