Inquietudine
in-quie-tù-di-ne
Significato Condizione o causa di agitazione, ansia, turbamento
Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo inquietudo, da inquietus ‘inquieto’, da quietus, derivato di quies ‘riposo, pace’, con prefisso in- negativo.
Parola pubblicata il 08 Aprile 2024
Ignazio Silone, le parole - con Lucia Masetti
Entriamo nell'opera di un autore, grande ma non altrettanto conosciuto, della nostra letteratura del secolo scorso: Ignazio Silone, a cui dedichiamo una settimana di pubblicazioni a tema.
Anche qui le parole si affollano: quante ne abbiamo per parlare di uno stato interiore di non tranquillità? Potremmo dire che mettere a punto un’adeguata batteria di sfumature di questa condizione sia stata una delle premure più evidenti della lingua.
Abbiamo la fisicità dell’agitazione, la cura dell’apprensione, la stretta dell’angoscia, la previsione dell’ansia, preoccupazioni impensierite, dubbi di ogni livello, assilli figurati, il tratto quasi meteorologico del turbamento, la smania febbrile e crucci e pene e tensioni via dicendo.
L’inquietudine spicca anche perché ha una forma negativa: si sostanzia in una non quiete.
Questo è un carattere che dà grazia alle parole: significare qualcosa negando il suo contrario ci proietta per prima la figura di ciò che viene negato (dobbiamo mettere una croce sulla quiete, per immaginare l’inquietudine). Il risultato è una rappresentazione più sottilmente scomoda di questo stato — una vibrazione, una corrente, una percezione che incrina discretamente la tranquillità, con un’incombenza spesso difficile da decifrare.
È inquietudine quella che punge la nostra morale, è inquietudine quella che ci trasmette fin dal principio il racconto gotico, inquietudine quella che ci molesta senza apparente motivo nel momento di rilassamento, e che spesso ha un’eloquenza cifrata.
Aveva ottime ragioni per essere inquieto, il povero Silone. Rimasto presto orfano di padre, a 15 anni perse d’un colpo la madre e la casa in un tremendo terremoto. Fu accolto per carità in un collegio di Roma, che a lui, originario di un paesino abruzzese, sembrava Marte.
Si buttò nella politica, il che lo costrinse – era l’epoca fascista – ad anni di clandestinità e di patemi d’animo. Quando poi anche il comunismo mostrò un volto totalitario, Silone ne prese le distanze con strazio enorme, diventando così un doppio outsider politico.
Nel frattempo il suo unico fratello sopravvissuto fu ucciso in carcere, indirettamente per colpa sua. E, nello sforzo di aiutarlo, Silone accettò (o almeno così si sospetta) di fare da spia per i fascisti, portandosene il rimorso in cuore per tutta la vita.
Egli stesso, tuttavia, pensava che il dolore avesse semplicemente reso più evidente una condizione propria di tutti gli esseri umani. L’umano è di sua natura inquieto: in perenne trasformazione, mai soddisfatto appieno del presente, sempre teso a trascendere se stesso. È “una corda tesa su un abisso”, scriveva Nietzsche.
Ed è precisamente per questo, sostiene Silone, che nell’essere umano si può ancora avere fiducia. Se si accontentasse di nascere e di morire, come gli animali normali, non ci sarebbe motivo di pensare che qualcosa possa cambiare. Ma l’essere umano ha la singolare caratteristica di voler dare un senso al proprio esistere: desidera una vita felice, perciò è spinto ad agire sulle cose per mutarle in meglio; e desidera una vita significativa, ossia dedicata a qualcosa di più grande del proprio interesse immediato.
Ecco perché, con tutte le sue sanguinose assurdità, la storia è attraversata da un filo dorato, che sembra sempre sul punto di spezzarsi ma che, in realtà, riemerge continuamente in forme diverse: il desiderio di un futuro più giusto e lieto. La trama segreta del mondo è la speranza.
Tuttavia l’inquietudine non è neppure, per Silone, un mero dato antropologico. L’inquietudine, per definizione, è scomoda. Perciò, sebbene tutti la condividano, molti tendono a soffocarla: alcuni col fanatismo, altri col divertimento a oltranza, la maggioranza con il tran-tran di abitudini e impegni quotidiani.
Dunque l’inquietudine è anche, per Silone, una virtù, o meglio lo è la capacità di abitarla e di trasformarla in risorsa, in uno strumento di lotta e di cambiamento. “Un rivoluzionario”, ha scritto in una lettera, “è un uomo che fa delle domande”.