SignificatoChe non sa e non s’interessa di sapere quel che potrebbe o dovrebbe sapere; sciocco
Etimologia voce dotta recuperata dal latino insipiens, derivato di sapiens ‘sapiente’, con prefisso in- negativo.
Le parole che con una certa ricercatezza significano lo sciocco hanno sempre un tenore un po’ sostenuto, e sanno essere utili e brillanti — senza però essere amichevoli (a parte i casi rari di autoironia e scherzi condivisi).
L’insipiente, voce dotta recuperata nel Trecento, fa parte di questo arcipelago, e ci porta a ripercorrere un moto mentale ricco di meraviglia, che parte dalla sensazione e arriva al significato. Infatti non serve una speciale dottrina per intuire che l’insipiente si forma come un non sapiente, e che allo stesso tempo è parente dell’insipido.
Questa ambivalenza (forse fra le più belle, basilari ed efficaci conservate fin dal primo latino) tornisce il verbo sapere. Se da un lato è un verbo che abbraccia una galassia di significati afferenti a conoscenza, capacità, consapevolezza, dall’altro continua ad essere un ‘aver sapore’. So chi sta arrivando, so come ti senti, so andare in bicicletta e la minestra sa di poco. Proprio questo è il suo significato ancestrale: dal sapore consegue il sapere — l’idea di ‘sapere’ prende forma come metafora del ‘sapore’. Intelligenza, sapienza, capacità, coscienza, in un antico mondo preurbano, indoeuropeo, precedente alla scrittura, si profilano, assumono un contorno definito come condimenti di senso — come piaceri primi. Il loro apprezzamento ha un’immediatezza sensazionale.
Certo l’insipiente, come qualità di persona che non sa e non s’interessa di sapere quel che potrebbe o dovrebbe sapere, è principalmente citato in maniera dura, in un giudizio che se non è sempre severo e sprezzante, lo è comunque spesso: si può parlare delle persone insipienti che si sono candidate alla posizione, dei commenti insipienti tempestati intorno a una faccenda complessa, dell’insipiente che si pavoneggia con un’esperienza insulsa — insulso, sciocco, siamo sempre sul sale.
Quindi è una parola che tende a dividere in maniera piuttosto marcata, anche se è lessicalmente brillante, e data la sua portata generale può arrivare a tratti di esclusività e snobismo. Se con sapiente descriviamo una figura enorme e rara, insipienti finiamo per esserlo un po’ tutti.
Insomma, posto che non si può sapere tutto, e che anzi ciò che sappiamo di non sapere non è che una frazione minima di ciò che non sappiamo di non sapere, può essere bene circostanziare e circoscrivere certi giudizi — e l’indulgenza è una gran virtù.
Le parole che con una certa ricercatezza significano lo sciocco hanno sempre un tenore un po’ sostenuto, e sanno essere utili e brillanti — senza però essere amichevoli (a parte i casi rari di autoironia e scherzi condivisi).
L’insipiente, voce dotta recuperata nel Trecento, fa parte di questo arcipelago, e ci porta a ripercorrere un moto mentale ricco di meraviglia, che parte dalla sensazione e arriva al significato. Infatti non serve una speciale dottrina per intuire che l’insipiente si forma come un non sapiente, e che allo stesso tempo è parente dell’insipido.
Questa ambivalenza (forse fra le più belle, basilari ed efficaci conservate fin dal primo latino) tornisce il verbo sapere. Se da un lato è un verbo che abbraccia una galassia di significati afferenti a conoscenza, capacità, consapevolezza, dall’altro continua ad essere un ‘aver sapore’. So chi sta arrivando, so come ti senti, so andare in bicicletta e la minestra sa di poco. Proprio questo è il suo significato ancestrale: dal sapore consegue il sapere — l’idea di ‘sapere’ prende forma come metafora del ‘sapore’. Intelligenza, sapienza, capacità, coscienza, in un antico mondo preurbano, indoeuropeo, precedente alla scrittura, si profilano, assumono un contorno definito come condimenti di senso — come piaceri primi. Il loro apprezzamento ha un’immediatezza sensazionale.
Certo l’insipiente, come qualità di persona che non sa e non s’interessa di sapere quel che potrebbe o dovrebbe sapere, è principalmente citato in maniera dura, in un giudizio che se non è sempre severo e sprezzante, lo è comunque spesso: si può parlare delle persone insipienti che si sono candidate alla posizione, dei commenti insipienti tempestati intorno a una faccenda complessa, dell’insipiente che si pavoneggia con un’esperienza insulsa — insulso, sciocco, siamo sempre sul sale.
Quindi è una parola che tende a dividere in maniera piuttosto marcata, anche se è lessicalmente brillante, e data la sua portata generale può arrivare a tratti di esclusività e snobismo. Se con sapiente descriviamo una figura enorme e rara, insipienti finiamo per esserlo un po’ tutti.
Insomma, posto che non si può sapere tutto, e che anzi ciò che sappiamo di non sapere non è che una frazione minima di ciò che non sappiamo di non sapere, può essere bene circostanziare e circoscrivere certi giudizi — e l’indulgenza è una gran virtù.