SignificatoIn cucina, tenere immerso un cibo in un liquido a base di vino, aceto o simili per insaporirlo, conservarlo o frollarlo; specie di scolari, saltare una lezione o una funzione
Etimologia da (acqua) marina.
La domanda che ingombra il tavolo è una: ma che c’entra il marinare i pomodori con il marinare la scuola? La risposta classica è simpatica ma ci sono dei coni d’ombra.
Il primo riferimento è all’acqua di mare, che possiamo immaginarci come il liquido per la marinatura primigenia: l’idea geniale è trattare le vivande con un liquido, in cui vanno lasciate immerse per un certo tempo, al fine di insaporirle, toglier loro un sapore sgradevole, conservarle o ammorbidirle. Le varietà di questo liquido sono innumerabili come le ricette di famiglia, ma tendenzialmente ha sapori forti, è a base di vino, aceto, salse fermentate, è arricchito di odori e spezie, è salato. Carpacci, pomodori, zenzero: la marinatura si siede nel novero delle trasformazioni alimentari in cui consiste la cucina.
Quando si deve marinare qualcosa, si prepara la marinatura, si copre e si lascia riposare per dopo, per quando sarà pronto, quasi fosse una cottura lunga, e intanto si può fare quel che si vuole. Qui sta il punto. Se parte del marinare è il lasciare stare serbando per dopo, l’estensione ironica di significato arriva ai ragazzini che lasciano la scuola a marinare — la marinano — mentre vanno a spasso a spassarsela. La scuola, la chiesa o qualunque altra frequentazione tendenzialmente obbligatoria a cui siano sottoposti. Così veniva spiegata nel Settecento, e così viene riportata dalla maggior parte dei dizionari.
Per quanto alcuni (fra cui il DELI) sottolineino l’esistenza addirittura precedente dell’espressione “far marina”, col significato di lamentarsi, crucciarsi specie pretestuosamente (senza che sia evidente il nesso col ‘marino’ però). Da questo rilievo, il marinare la scuola potrebbe anche prendere le mosse dalla lagna fasulla con cui ci si dà malati. Quale che sia la vera verità, il verbo ‘marinare’, in questo senso, ha un pregio unico: la diffusione nazionale. Infatti di parole locali che hanno questo significato ce ne sono a decine (per esempio da noi si “fa forca”), ma visto che cambiano di valle in valle non sono sempre spendibilissime.
La domanda che ingombra il tavolo è una: ma che c’entra il marinare i pomodori con il marinare la scuola? La risposta classica è simpatica ma ci sono dei coni d’ombra.
Il primo riferimento è all’acqua di mare, che possiamo immaginarci come il liquido per la marinatura primigenia: l’idea geniale è trattare le vivande con un liquido, in cui vanno lasciate immerse per un certo tempo, al fine di insaporirle, toglier loro un sapore sgradevole, conservarle o ammorbidirle. Le varietà di questo liquido sono innumerabili come le ricette di famiglia, ma tendenzialmente ha sapori forti, è a base di vino, aceto, salse fermentate, è arricchito di odori e spezie, è salato. Carpacci, pomodori, zenzero: la marinatura si siede nel novero delle trasformazioni alimentari in cui consiste la cucina.
Quando si deve marinare qualcosa, si prepara la marinatura, si copre e si lascia riposare per dopo, per quando sarà pronto, quasi fosse una cottura lunga, e intanto si può fare quel che si vuole. Qui sta il punto. Se parte del marinare è il lasciare stare serbando per dopo, l’estensione ironica di significato arriva ai ragazzini che lasciano la scuola a marinare — la marinano — mentre vanno a spasso a spassarsela. La scuola, la chiesa o qualunque altra frequentazione tendenzialmente obbligatoria a cui siano sottoposti. Così veniva spiegata nel Settecento, e così viene riportata dalla maggior parte dei dizionari.
Per quanto alcuni (fra cui il DELI) sottolineino l’esistenza addirittura precedente dell’espressione “far marina”, col significato di lamentarsi, crucciarsi specie pretestuosamente (senza che sia evidente il nesso col ‘marino’ però). Da questo rilievo, il marinare la scuola potrebbe anche prendere le mosse dalla lagna fasulla con cui ci si dà malati. Quale che sia la vera verità, il verbo ‘marinare’, in questo senso, ha un pregio unico: la diffusione nazionale. Infatti di parole locali che hanno questo significato ce ne sono a decine (per esempio da noi si “fa forca”), ma visto che cambiano di valle in valle non sono sempre spendibilissime.