Partitura

par-ti-tù-ra

Significato Disposizione grafica di tutte le parti vocali/strumentali di una composizione musicale in modo che queste siano incolonnate sincronicamente, al fine di permettere la lettura d’insieme

Etimologia dal latino medievale partitura ‘spartizione’, derivato di partire ‘dividere, separare’, ma anche ‘suddividere, distribuire’.

La partitura è una pagina di musica in cui sono disposte tutte le parti che formano la strumentazione di una composizione musicale, ognuna su un rigo, ma incolonnate una sull’altra. Nelle partiture moderne ogni rigo musicale è collegato a sinistra da un’unica linea verticale, che raggruppa l’intera compagine dall’acuto al grave, dall’ottavino al contrabbasso; è altresì possibile che le linee verticali siano tracciate per ogni battuta.

Leggendo una partitura, un professionista della musica avrà la visione complessiva dell’insieme. È chiaro che in una partitura per grande orchestra, ad esempio quella di Scheherazade di Nikolaj Rimskij-Korsakov, ogni foglio conterrà un solo sistema, oggi chiamato anche ‘accollatura’, comprensivo di tutti i righi.

Invece, in una partitura di musica scritta per un organico piccolo, come nella musica da camera, la pagina potrà contenere due o più sistemi, a seconda di quanti pentagrammi è formato ognuno di essi. In un quartetto d’archi, ogni sistema conterà quattro pentagrammi, come nel celebre quartetto op. 76, n. 3 di Haydn, la cui musica fu utilizzata per l’inno nazionale tedesco.

Ma come si arrivò a questa complessità grafica? La partitura comparve alla fine del Cinquecento in parallelo con le intavolature strumentali, che rendevano possibile la lettura simultanea su di uno strumento polivoco (liuto, clavicembalo, organo) delle parti vocali di un mottetto, di un madrigale, o di un’altra composizione polifonica. Infatti, sino ad allora, le singole parti da cantare in polifonia erano manoscritte o stampate su libretti separati, ognuno detto libro-parte. Ecco una pagina del libretto di un superius.

La polifonia poteva anche essere letta da un grande libro che veniva esposto ai cantori durante le funzioni liturgiche: il liber choralis.

Nonostante l’indubbia utilità della partitura, i libri parte continuavano a essere più agili ed economici, poiché in epoca antica la carta era costosa. Solo grazie al progresso dell’editoria e alla diminuzione del costo dei materiali per la stampa la produzione di partiture musicali s’incrementò, rimanendo ancora in epoca moderna inferiore rispetto a quella degli ‘spartiti’. Questi, un po’ come gli antichi libri-parte, sono fogli di musica per un singolo strumento, e sono detti ‘parti staccate’, o in gergo, ‘scannate’. Così, un’intera sinfonia può essere contenuta in pochi fogli. La riduzione di un concerto per violino e orchestra, in cui quest’ultima è trascritta per pianoforte, è però chiamata spartito, anche se di fatto è una mini-partitura.

L’uso della parola ‘partitura’ deriva dalla pratica antica di tracciare linee verticali attraverso uno o più pentagrammi per formare ‘caselle’, con funzione analoga a quella delle moderne battute, quindi proprio per separare, ‘partire’, dividendo il foglio in porzioni corrispondenti alle diverse misure. La prima partitura mai stampata fu il Libro di Ricercate à 4 voci di Rocco Rodio (1575), con quattro pentagrammi simultanei divisi in caselle. La scrittura in partitura fu seguita anche da Girolamo Frescobaldi, e poi in edizioni di musica vocale, come la Partitura delli sei libri de madrigali a cinque voci del Principe di Venosa, Carlo Gesualdo (1613), grazie alla ‘fatica di Simone Molinaro’.

una celebre partita del sommo Johann Sebastian Bach, anche se uno spartito per solo flauto non potrà mai essere chiamato partitura.

Parola pubblicata il 30 Agosto 2020

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