Pausa
pàu-sa
Significato Fermata; sospensione temporanea
Etimologia dal latino pausa, acquisito come prestito dal greco paûsis ‘cessazione’.
Parola pubblicata il 10 Ottobre 2021
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Nelle artificiose elaborazioni ideate dall’uomo per sollecitare i sensi, quelle che sfruttano intensamente la coordinata temporale sono la comunicazione verbale, scritta o parlata, e quella musicale. Percepiamo all’istante un quadro, un sorso di vino, il profumo di una vivanda, la morbidezza di un tessuto pregiato; per quanto lungo possa essere stato il loro processo di produzione, riusciamo ad averne un’idea abbastanza compiuta nell’immediato. Non altrettanto rapidamente leggeremo la Commedia di Dante, né ascolteremo una sinfonia beethoveniana, o finanche una breve canzone. In questi contesti l’elemento ‘tempo’ è fondamentale, costitutivo, vitale.
In musica è talmente importante, che tutte le figure musicali hanno il loro valore temporale, a cui equivalgono simmetricamente le durate dei silenzi: pausa di semibreve, di minima, di semiminima e così via.
Osservandola in un’ottica più ampia, ma sempre musicale, a volte la pausa rimanda a una durata di silenzio indefinita e variabile. Per esempio, può essere introdotta a effetto, per suscitare curiosità o sorpresa. Oppure, può avere una funzione strategica e aiutare l‘esecutore in un momento complesso, concedendo un po’ di tempo per cambiare una posizione difficile delle mani sulla tastiera. La pausa è sicuramente necessaria al cantante e allo strumentista a fiato per respirare, ma non è affatto indicata quando questi eseguono uno ‘staccato’; dei semplici puntini posti sopra le note, stabiliscono che ogni nota debba essere separata dalle altre da un breve silenzio, commisurato alla durata della nota.
L’antica notazione medievale non prevedeva segni specifici per indicare le pause. Nel XIII secolo Francone da Colonia descrisse la vox amissa, cioè una nota ‘persa, non inserita’, distinta dalla vox prolata, nota ‘mostrata’, ossia cantata, presentando sei segni relativi, incluso il finis punctorum. Questo stabiliva una quiescenza non misurata che si applicava al termine una composizione o di una sua sezione. Di solito, i segni di pausa consistevano in una o più linee verticali, di lunghezza variabile, posti sul rigo musicale.
Nel Rinascimento le pause divennero parte integrante della musica scritta, a tal punto da poter essere inserite all’inizio di una composizione senza prescrivere il silenzio, ma con il solo scopo di far capire all’esecutore fondamentali parametri notazionali. Si chiamavano allora ‘pause indiziali’, proprio perché fornivano l’indizio per dipanare l’ingarbugliata matassa mensurale della notazione dell’epoca.
Le pause possono essere indicate anche da brevi didascalie. Se in una parte la pausa interviene per un intero movimento, l’esecutore troverà sul suo spartito la grafia esplicativa tacet, mentre se la pausa è in tutte le parti, di solito in un organico numeroso come quello di un’orchestra, sarà pausa generalis, talvolta abbreviata in diverse lingue con G. P.
Forse alcuni conoscono 4’33’’, una provocatoria e famosa composizione di John Cage del 1952, destinata a qualunque organico («tacet for any instrument/instruments»). È costituita da tre movimenti durante i quali l’esecutore cronometra una pausa di quattro minuti e trentatré secondi.
La pausa in musica fu sfruttata anche a fini espressivi per rappresentare i ‘sospiri’. In questo madrigale di Sigismondo d’India la parola ‘sospiri’ (da qui cantata cominciando dalla parte del basso) è sempre preceduta da una breve pausa. La letteratura polifonica del passato utilizzò le cosiddette ‘pause al sospiro’ addirittura spezzando enfaticamente la parola ‘sospiri’ con una sospensione del suono. Forse perché, di solito, la pausa è tanto sospirata…