SignificatoVotazione diretta su una particolare questione attraverso un quesito con due opzioni opposte
Etimologia voce latina, dalla locuzione ad referendum letteralmente ‘per riferire’.
Andiamo al sodo: perché usiamo questo termine latino per indicare questo istituto di democrazia diretta?
Le tradizioni politiche dell’antichità ci hanno abituato a bizzarre interrogazioni e assemblee, ma — al contrario di quel che potremmo conseguentemente aspettarci — il referendum, nel diritto romano, non c’è (e comunque difficilmente il diritto romano sopravvissuto alla caduta di Roma parla di qualcosa che non sia diritto civile, privato). Si tratta in effetti di un conio moderno, ottocentesco.
Il materiale di partenza è una locuzione latina, corrente il millennio scorso, ad referendum: letteralmente significa ‘per riferire’, e poteva corredare, anzi dare corpo a una richiesta di documenti o informazioni (domandati ‘per riferire’), ma anche chiarire lo spirito con cui si accoglieva una proposta. Ad esempio un ambasciatore, senza il potere di decidere da sé su una faccenda, poteva ricevere una proposta ad referendum, in attesa di una pronuncia del proprio governo. Si poteva quindi parlare di una domanda, di una convocazione, di una negoziazione ad referendum. Naturalmente il successo di questa espressione risiede nel fatto che in Europa la lingua dell’amministrazione e della diplomazia è stata per lunghissimo tempo il latino.
Questa foto del referendum, però, non ha niente a che vedere con il significato con cui lo intendiamo oggi, cioè una votazione a cui è chiamato il corpo elettorale su una questione avendo come alternative l’indicazione di un sì o di un no. Ma il passaggio non è complesso: a ben vedere il referendum, sia come istituto di voto sia nelle vecchie prassi dell’ad referendum è un’occasione in cui vengono raccolte delle informazioni, in cui viene chiesto un parere che confermi o infirmi ‘per riferire’ al potere che prende le decisioni e verga le leggi. Però non si stupisce nessuno se diciamo che serve un passaggio in Svizzera.
Già. La Svizzera non è solo un Paese in cui proverbialmente si ricorre all’istituto del referendum con una frequenza unica: è anche il Paese in cui il referendum è stato istituzionalizzato. Il francese référendum (il francese è stato una lingua eminentemente diplomatica, dopo il latino e prima dell’inglese) vi si trova accolto con un profilo contemporaneo già a partire dalla Costituzione del 1848, e rafforzato nelle successive revisioni.
Poteva venire adattato, e invece ha conservato la sua forma latina. Stando alle ironiche memorie di Bruno Migliorini, grande linguista del secolo scorso e presidente dell’Accademia della Crusca, un adattamento come referendo era fuori dall’orizzonte d’interessi dell’Assemblea Costituente e comunque, per qualcuno, troppo simile a ‘reverendo’ — che avrebbe potuto generare un’ideale vicinanza alla Democrazia Cristiana. Ma molto semplicemente, come sempre, un istituto dal nome latino sa essere profondamente rassicurante. Dà l’idea di una continuità radicata e pacifica, rodata nei secoli. Anche quando è un’invenzione del Quarantotto, registrata in italiano, fra incertezze e approssimazioni, solo fra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento.
Andiamo al sodo: perché usiamo questo termine latino per indicare questo istituto di democrazia diretta?
Le tradizioni politiche dell’antichità ci hanno abituato a bizzarre interrogazioni e assemblee, ma — al contrario di quel che potremmo conseguentemente aspettarci — il referendum, nel diritto romano, non c’è (e comunque difficilmente il diritto romano sopravvissuto alla caduta di Roma parla di qualcosa che non sia diritto civile, privato). Si tratta in effetti di un conio moderno, ottocentesco.
Il materiale di partenza è una locuzione latina, corrente il millennio scorso, ad referendum: letteralmente significa ‘per riferire’, e poteva corredare, anzi dare corpo a una richiesta di documenti o informazioni (domandati ‘per riferire’), ma anche chiarire lo spirito con cui si accoglieva una proposta. Ad esempio un ambasciatore, senza il potere di decidere da sé su una faccenda, poteva ricevere una proposta ad referendum, in attesa di una pronuncia del proprio governo. Si poteva quindi parlare di una domanda, di una convocazione, di una negoziazione ad referendum. Naturalmente il successo di questa espressione risiede nel fatto che in Europa la lingua dell’amministrazione e della diplomazia è stata per lunghissimo tempo il latino.
Questa foto del referendum, però, non ha niente a che vedere con il significato con cui lo intendiamo oggi, cioè una votazione a cui è chiamato il corpo elettorale su una questione avendo come alternative l’indicazione di un sì o di un no. Ma il passaggio non è complesso: a ben vedere il referendum, sia come istituto di voto sia nelle vecchie prassi dell’ad referendum è un’occasione in cui vengono raccolte delle informazioni, in cui viene chiesto un parere che confermi o infirmi ‘per riferire’ al potere che prende le decisioni e verga le leggi. Però non si stupisce nessuno se diciamo che serve un passaggio in Svizzera.
Già. La Svizzera non è solo un Paese in cui proverbialmente si ricorre all’istituto del referendum con una frequenza unica: è anche il Paese in cui il referendum è stato istituzionalizzato. Il francese référendum (il francese è stato una lingua eminentemente diplomatica, dopo il latino e prima dell’inglese) vi si trova accolto con un profilo contemporaneo già a partire dalla Costituzione del 1848, e rafforzato nelle successive revisioni.
Poteva venire adattato, e invece ha conservato la sua forma latina. Stando alle ironiche memorie di Bruno Migliorini, grande linguista del secolo scorso e presidente dell’Accademia della Crusca, un adattamento come referendo era fuori dall’orizzonte d’interessi dell’Assemblea Costituente e comunque, per qualcuno, troppo simile a ‘reverendo’ — che avrebbe potuto generare un’ideale vicinanza alla Democrazia Cristiana. Ma molto semplicemente, come sempre, un istituto dal nome latino sa essere profondamente rassicurante. Dà l’idea di una continuità radicata e pacifica, rodata nei secoli. Anche quando è un’invenzione del Quarantotto, registrata in italiano, fra incertezze e approssimazioni, solo fra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento.