Remigare

re-mi-gà-re (io rè-mi-go)

Significato Remare; muovere le ali in maniera regolare

Etimologia voce dotta recuperata dal latino remigare, derivato di remex ‘rematore’, da remus ‘remo’.

Se dicessimo che ‘remigare’ significa ‘remare’ diremmo insieme una cosa ovvia e una cosa imprecisa. Sono due verbi più che parenti, e però la sfumatura che hanno preso, pur insistendo sulla stessa azione, è differente. Insomma, sono parenti con diverse affinità che non si vedono mai e che vivono in posti completamente diversi.

Tutto nasce dal latino remus, che ha un’antica ascendenza indoeuropea, e che indica, be’, il remo. Da remus nasce il remex, il rematore, e dalla sua figura nasce il verbo di ciò che fa, giusto remigare, recuperato come prestito dotto dall’italiano. D’altro canto, per via popolare il remus dà vita al remo, e dal remo procede il remare. Quindi remigare, a differenza di remare, è etimologicamente una voce dotta. Ma non solo da questo punto di vista.

Non che il remigare e il remare si manifestino in modi di farlo diversi: il movimento e la fatica sono uguali, i luoghi in cui si praticano sono quelli. Ma cambia molto l’altezza del registro con cui quest’azione è rappresentata.
Il remare è un’azione presentata come spiccia, priva di solennità. Non ha nemmeno il tratto più prettamente marinaresco che riconosciamo al vogare — esito poetico di un vocare latino, che dipinge la ‘chiamata’ con cui il celeuste cadenza il colpo di remo. Nel giro fra caletta e caletta vengo sempre messo a remare con parole di adulazione, sullo stupendo lago dolomitico ci sono così tante barchette che quasi non si può remare, e in coppia con l’amico inetto quanto me remiamo in tondo col pattìno.

Il remigare invece ci parla di un remare che… non è spiccio. Appare speciale per contegno, per aura — chi parla o scrive ha l’intenzione di conferire a questo remare una statura alta, o mostra l’intenzione di esprimersi in maniera elevata. Posso parlare dello specchio dell’Arno su cui remigano i canottieri all’alba, del modo in cui l’amica ci fa attraversare il canale remigando a due braccia, e ci immaginiamo calmo e solenne il modo in cui gli equipaggi delle navi remigavano su e giù per il Nilo. E sentiamo anche che piacevole effetto ironico ha se racconto che quell’amico inetto ed io remighiamo in tondo.

Inoltre il remigare ha un vantaggio specifico sul remare: gli sono aperte le vie della metafora — che ne fanno in genere da un muovere qualcosa di simile a un remo a uno spostarsi. Posso parlare delle nuvole che remigano all’orizzonte (no che remano), posso parlare degli aironi che remigano in cielo — uso ricorrente, quello del remigare quale battere le ali cadenzato, remare celeste, e peraltro le penne remiganti sono quelle che costituiscono la superficie portante per il volo. Ma posso anche parlare dell’amico che remiga con le mani quando parla, o di quando remigo con le braccia per sgranchirmele, e via dicendo, secondo fantasia.

La parola più dotta non è solo più paludata: ha anche un respiro che le permette, fuori dalla stretta rappresentazione del consueto, di inseguire analogie alpestri con piede di capra. Da tener presente, questo remigare — anche perché, pur dotto, è del tutto trasparente.

Parola pubblicata il 29 Luglio 2024