SignificatoSacro e santo; inviolabile, indiscutibile; meritato, giusto, attendibile
Etimologia voce dotta recuperata dal latino sacrosanctus, composto di sacer ‘sacro’ e sanctus ‘santo’, propriamente participio passato di sancire.
Davanti a questa parola si può avere l’impressione di un pio accatastamento dei due più comuni referenti di altezza trascendente che la lingua comune ci offre, il sacro e il santo — un po’ a casaccio. Oppure giustapposti, con le loro diverse sfumature, generano un concetto specifico?
Innanzitutto va notato che il risultato di questa composizione è enfatico, perfino magniloquente, e di grande efficacia retorica che penetra anche i discorsi più comuni. Paradossalmente finisce spesso per essere spendibile con miglior profitto rispetto alle sue componenti singole: se parlo di un diritto sacro sto sicuramente parlando di qualcosa di alto e rigido; se parlo di un diritto sacrosanto invece posso anche riferirmi a quello invocato dalla zia Alberta di prendere il sole senza scocciature — ma mette nella frase un vigore retorico che la santa pace non ha.
La realtà è che no, il sacrosanto non è un cocktail speciale. Si comporta come un superlativo di entrambe le sue componenti: quindi si attribuisce a enti superiori degni di adorazione, a oggetti di culto, a enti morali (dalle leggi ai doveri agli ideali) che richiedono d’essere seguiti con devozione, rispetto e trasporto — e in genere all’inviolabile, intangibile da profanazioni e negoziati, e all’indiscutibilmente positivo, giusto, meritato e attendibile.
Così sarà sacrosanto un principio cardine della propria etica, sacrosanta la statuizione che sulla ribollita non va il formaggio, sacrosanta la vittoria atletica schiacciante, e riteniamo sacrosanta la testimonianza di chi era con noi e ha visto quel che noi abbiamo visto.
Il punto interessante è che si tratta evidentemente di un termine nato nella sfera religiosa — ma la qualità del sacrosanctus esisteva già nella sfera religiosa pagana. E anche allora indicava ciò che era stato consacrato con cerimonie speciali, chi o ciò che era stato dichiarato inviolabile (tale era considerata la potestà dei tribuni) — e quindi in genere il venerabilissimo. È quindi più precisamente nel sacrosanctus che si assommano le qualità del sacer e del sanctus.
Volendo indagare più a fondo si può notare che sacro in latino è un ablativo, e cercare di inferire quindi un originale ruolo strumentale del sacro rispetto al sanctus (che ricordiamo è propriamente participio passato di sancire) — ma non sono termini che si districano bene. Anche perché sono fratelli di una stessa radice protoindoeuropea imperniata sul concetto di sacro, che ha dato frutti quasi solo nella pianta protoitalica che li genera. Insomma, il sacrosanto riavviticchia ciò che era indiviso — fra altezze olimpiche o d’empireo e quotidianità colorite.
Davanti a questa parola si può avere l’impressione di un pio accatastamento dei due più comuni referenti di altezza trascendente che la lingua comune ci offre, il sacro e il santo — un po’ a casaccio. Oppure giustapposti, con le loro diverse sfumature, generano un concetto specifico?
Innanzitutto va notato che il risultato di questa composizione è enfatico, perfino magniloquente, e di grande efficacia retorica che penetra anche i discorsi più comuni. Paradossalmente finisce spesso per essere spendibile con miglior profitto rispetto alle sue componenti singole: se parlo di un diritto sacro sto sicuramente parlando di qualcosa di alto e rigido; se parlo di un diritto sacrosanto invece posso anche riferirmi a quello invocato dalla zia Alberta di prendere il sole senza scocciature — ma mette nella frase un vigore retorico che la santa pace non ha.
La realtà è che no, il sacrosanto non è un cocktail speciale. Si comporta come un superlativo di entrambe le sue componenti: quindi si attribuisce a enti superiori degni di adorazione, a oggetti di culto, a enti morali (dalle leggi ai doveri agli ideali) che richiedono d’essere seguiti con devozione, rispetto e trasporto — e in genere all’inviolabile, intangibile da profanazioni e negoziati, e all’indiscutibilmente positivo, giusto, meritato e attendibile.
Così sarà sacrosanto un principio cardine della propria etica, sacrosanta la statuizione che sulla ribollita non va il formaggio, sacrosanta la vittoria atletica schiacciante, e riteniamo sacrosanta la testimonianza di chi era con noi e ha visto quel che noi abbiamo visto.
Il punto interessante è che si tratta evidentemente di un termine nato nella sfera religiosa — ma la qualità del sacrosanctus esisteva già nella sfera religiosa pagana. E anche allora indicava ciò che era stato consacrato con cerimonie speciali, chi o ciò che era stato dichiarato inviolabile (tale era considerata la potestà dei tribuni) — e quindi in genere il venerabilissimo. È quindi più precisamente nel sacrosanctus che si assommano le qualità del sacer e del sanctus.
Volendo indagare più a fondo si può notare che sacro in latino è un ablativo, e cercare di inferire quindi un originale ruolo strumentale del sacro rispetto al sanctus (che ricordiamo è propriamente participio passato di sancire) — ma non sono termini che si districano bene. Anche perché sono fratelli di una stessa radice protoindoeuropea imperniata sul concetto di sacro, che ha dato frutti quasi solo nella pianta protoitalica che li genera. Insomma, il sacrosanto riavviticchia ciò che era indiviso — fra altezze olimpiche o d’empireo e quotidianità colorite.