Sentore
sen-tó-re
Significato Percezione incerta (spesso olfattiva), intuizione vaga, presentimento
Etimologia dal latino sentire ‘percepire’, attraverso una forma del latino parlato ricostruita come sentor.
Parola pubblicata il 14 Giugno 2024
Le parole del vino - in collaborazione con la tenuta vinicola Santa Margherita
Alla scoperta di radici ancestrali, significati sorprendenti e accezioni à la page, stappiamo le parole del vino che ci arrivano da ogni parte. Questo ciclo è sostenuto dalla tenuta vinicola Santa Margherita.
Cambia una lettera. Una sola, che rivoluziona il suffisso. Il risultato è incredibile: una parola vasta e centrale, una parola grossa quanto può essere ‘sentire’, si affila e slancia verso l’inafferrabile, e lo acchiappa.
Infatti il ‘sentire’ si muove sul campo della certezza, di solito — anzi è fra le poche cose che possiamo dare proprio per certe. Quando mettiamo in dubbio come falso o sbagliato ciò che sentiamo è sempre uno squarcio nel cielo di carta del teatrino. Normalmente ciò che sento lo so — ciò che sento in ogni modo, beninteso, secondo la prima impressione impartita dalla sua antica radice. Il senso percettivo scaturisce remotamente dal senso direzionale — quella percezione è un’attenzione, un modo di dirigersi nello spazio. Fin qui, camminiamo sul solido.
Il verbo sentire si fa sostantivo nel sentore, con un apposito suffisso, dicevamo. Ora, il suffisso ‘-ore’, in una maniera che è insieme sottile e di gusto forte, ci racconta un modo di atteggiarsi che hanno azioni e attributi. Lo fa in maniera particolarmente vistosa — il grigiore della giornata, il lucore in fondo alla valle, il dolore della perdita, lo splendore dello spettacolo sono quasi comportamenti del grigio, della luce, del dolere, dello splendere, e sono comportamenti che sanno avere un certo grado di indefinitezza, di sospensione, anche se sono radicati in una percezione sensoriale.
Ecco: il suffisso ‘-ore’ si accoppia volentieri con termini che riguardano la sfera percettiva. E in particolare, nel sentore, fa del ‘sentire’ — tanto certo e affidabile — una vaga intuizione.
Se ho il sentore di un inganno, non è che io ne abbia la piena appercezione. Se ho il sentore di una novità imminente, non ne ho che una notizia impalpabile. Se nell’aria c’è un sentore di ginestre, non ne sto sentendo il profumo in maniera distinta e intensa.
Mescolato e intrecciato (eppure già distinto), tremolante e inafferrabile (eppure già colto), il sentore ci racconta la nostra finezza percettiva di un primo provvisorio sentire, quell’attitudine che riconosciamo in tanti altri animali — l’orecchio che si gira un istante, l’immobilizzazione di un momento col naso in aria. È quasi un presentimento (pre-sentimento, non si può fare a meno di avvitarsi su questo onnipresente ‘sentire’).
Curioso e preciso che questo termine abbia tanto spazio nel mondo del vino — pensiamo a tutte le volte in cui orecchiamo che un vino ha dei sentori di ananas o di vaniglia: il vino per antonomasia si fa con l’uva, quindi è buffo che dentro ci si possa odorare e assaporare di tutto, quasi fosse un compendio del resto del mondo. Ma è una varietà molto concreta e determinata: al mutare di un numero infinito di variabili dalla vigna alla cantina e oltre — geologiche, botaniche, climatiche, di produzione, di evoluzione del vino — cambia ciò che sentiamo col naso nel calice.
In realtà nel gergo non ci si formalizza troppo nella differenza fra aromi e profumi (che dovrebbero avere un certo grado di chiarezza) e sentori (che dovrebbero avere i caratteri che dicevamo) — ma è una differenza che possiamo valorizzare.
Dopotutto non ogni cosa si sente nella stessa maniera, e anche al naso qualcosa ci può arrivare con chiarezza squadernata e altro con sottigliezza sfuggente. Annusando un negramaro possiamo percepire bene un profumo di ciliegia e un sentore di timo, magari. E anzi, magari ‘sentore’ può proprio essere una parola sagace da usare quando vogliamo spararla senza sbilanciarci — anche se magari qualcuno avrà il sentore della nostra trovata.