Lucore

lu-có-re

Significato Luce vivida e intensa; luce tenue e diffusa

Etimologia dal latino lucère, attraverso l’ipotetica voce del latino parlato lucor.

  • «Il lucore dei suoi occhi è senza pari.»

Ci sono parole di aspetto dimesso che aprono possibilità espressive inusitate.
Se ci avviciniamo alla parola ‘lucore’ avvertiamo due cose: che il suo significato è assurdo — perché indica tanto una luce vivida e intensa quanto una tenue e diffusa — e che tutta la complessità che può avere è determinata da un suffisso semplice, semplicissimo, e abissale.

Non siamo davanti a una parola di origine dotta, e questo è curioso visto che ha una dimensione soprattutto letteraria. Fra il nostro lucore, attestato nel Duecento, e il verbo latino antecedente lucère c’è il mistero del latino parlato, che non lascia traccia. Cerchiamo di capire che cosa fa il suffisso -ore in casi come questo.

Fra l’altro, è un suffisso nominale deverbale, cioè che genera sostantivi a partire da verbi; sostantivi di questo genere colgono l’evento, il fine, la continuazione di un’azione con la loro veste di nome. Però in questo caso è un suffisso ormai improduttivo — alcuni suffissi iniziano o continuano a buttare parole nuove, altri invece cessano di produrne, li troviamo solo in termini che sono un’eredità storica, o usati per analogia. Il fatto straordinario, però, è che questo suffisso racconta un’esperienza.

Lo troviamo in alcuni nomi d’azione estremamente comuni, addirittura centrali, di quelle parole così ricorrenti che finiscono per non destare alcuna curiosità — e quindi il rischio di perderci questa considerazione è alto. In particolare (come annota ad esempio Livio Gaeta ne La formazione della parole in italiano, a cura di Rainer e Grossmann) quelli formati con questo suffisso -ore, sono nomi d’azione che denotano esperienze fisiche o psichiche. L’errore e l’orrore, il torpore e il tepore, l’amore e il dolore, il sentore e il raffreddore — ma potremmo continuare col fervore e il languore, il bollore e il bruciore, lo splendore e lo squallore, il pallore e il pizzicore — ci danno il riverbero di questa specifica complessità, e cioè del fatto d’essere qualcosa che a un certo livello si prova (che abisso fra il raffreddamento e il raffreddore, la tepidezza e il tepore! E perfino il sentimento ha una dimensione quasi intellettuale a confronto col sentore raccolto dal naso).

Il lucore si piazza qui. Ed è chiaro che debba essere ambivalente: facciamo esperienza sensibile della luce — quella che in qualche modo registriamo come notevole, non la semplice immersione nella radiazione elettromagnetica — o quando è di intensità formidabile o quando appena appena si stacca dal nero piatto del buio. O l’abbacinante o l’albescente.

Quindi posso parlare del lucore della via del porto nella controra, ma anche del suo lucore in lontananza nella notte; posso parlare del lucore delle nevi sulla vetta assolata, e del lucore delle tante stelle in cielo; del lucore dei grandi lampadari di cristallo, del lucore delle lancette fosforescenti della sveglia. Di volta in volta si intende quale estremo si considera: la terra solida, sotto, è il modo in cui una sensazione prosegue in esperienza, investendoci con una sensazione che va oltre le percezioni sensoriali. Si capisce perché il lucore, pur nella sua semplicità, è una parola letteraria, anzi poetica.

Parola pubblicata il 09 Agosto 2023