Soprano
so-prà-no
Significato Come sostantivo, voce che canta nel registro più acuto; apposto al nome di uno strumento musicale, indica un taglio acuto dello strumento stesso
Etimologia dal latino volgare ricostruito come superanus ‘superiore’, derivato di super ‘sopra’.
Parola pubblicata il 26 Ottobre 2025
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale

L’etimologia di soprano viene dal latino sŭper ‘sopra’ che, come prefisso, vive ancora felicemente in una superaffollata categoria di composti, inclusi quelli che riguardano alcuni supereroi dotati di superpoteri: Superman, Super Pippo…
Nella lingua italiana delle origini l’aggettivo sovrano e soprano erano varianti dallo stesso significato: ‘situato sopra’. Tramandato da Dante e dai suoi illustri colleghi, nel Quattrocento soprano divenne anche sostantivo, cominciando a specializzarsi con accezioni differenti. In musica tuttavia si adoperavano ancora termini latini, in genere superius, cantus, discantus o canto in italiano.
Oggi distinguiamo il sovrano-monarca dal soprano-cantante. Come sostantivo, infatti, soprano esiste esclusivamente nell’arte dei suoni e indica il registro più acuto della voce umana o di uno strumento musicale; possiamo quindi parlare di un soprano del coro o di un sassofono soprano. Questo è il motivo per cui, anche riferendosi a una cantante di sesso femminile, si antepone l’articolo il, sottintendendo registro di. Nell’uso odierno, non di rado ci si imbatte nella forma femminile: la soprano, indeclinabile, che al plurale diventa le soprano. Infine, la chiave posta sul primo rigo del pentagramma si chiama ‘chiave di soprano’ e individua la posizione del Do centrale.
Anche se i francesi possono dire dessus, gli inglesi treble (dal latino triplum, ossia la voce più acuta nell’arcaica polifonia a tre parti), gli spagnoli tiple (sempre da triplum) e i tedeschi proprio Sopran, il termine soprano è compreso e utilizzato ovunque nel mondo, alla stregua di altri italianismi, come pasta e pizza. Questo perché, dal Settecento in poi, il successo internazionale dell’opera italiana esportò in tutta Europa anche il termine che indicava sia le primedonne, sia i falsettisti uomini, che i castrati.
Molto prima che nascessero la Callas e la Tebaldi, probabilmente il culto delle ‘divine’ fu inaugurato da Torquato Tasso, che dedicò oltre cento rime d’amore al famoso consesso delle dame di Ferrara, in grado di ammaliare chiunque con i loro superbi e raffinati concenti.
Nel Seicento, in Italia il soprano era quasi sempre un castrato, che interpretava i ruoli maschili principali o anche quelli femminili en travesti. In compenso, le ‘pari opportunità’ dell’epoca prevedevano che anche le donne potessero interpretare parti principali maschili, anch’esse en travesti.
Comunque, in passato i registri vocali non erano rigidi, ma interscambiabili. Un castrato che cantava come soprano nel coro della Cappella Sistina poteva invece interpretare ruoli da contralto sulle scene.
Il teatro musicale contribuì però a legare sempre di più i ruoli vocali a quelli di determinati personaggi sul palcoscenico. Il soprano divenne così la voce d’elezione per ogni giovane eroina che, per caratteristiche tecniche come agilità e chiarezza di timbro, rappresentava efficacemente giovinezza o innocenza. Nell’Ottocento questa prassi divenne una consuetudine e, intorno al Novecento, cominciarono a definirsi sottocategorie: dal soprano leggero a quello drammatico, con numerose sfumature intermedie. Tra le prime incisioni storiche di soprani novecenteschi si annoverano quelle di Adelina Patti e di Alessandro Moreschi, l’ultimo castrato, detto l’Angelo di Roma.
E pensare che i soprani a volte hanno dimostrato una singolare perfidia. Non alludiamo alla Regina della Notte, bensì a un fatto realmente avvenuto.
Due grandi nomi della lirica, un soprano e un tenore, si accordarono sullo stacco simultaneo dell’acuto finale del loro duetto, al fine di interromperlo nello stesso preciso istante: come segnale, il tenore doveva stringere la mano alla collega. Durante la rappresentazione, lui diede il segnale convenuto e chiuse il suo acuto. Il soprano invece continuò, da sola e a lungo, accaparrandosi così le ovazioni del pubblico in visibilio. Vatti a fidare!