Tarantella

ta-ran-tèl-la

Significato Danza popolare e relativa musica, d’andamento vivace o vivacissimo, peculiare dell’Italia meridionale

Etimologia secondo la maggior parte degli studiosi, diminutivo di derivazione toponomastica, dal nome della città di Taranto.

Generalmente i dizionari etimologici assegnano l’origine dei nomi ‘tarantola’ e ‘tarantella’ alla città di Taranto. Tuttavia, alcuni sostengono che l’appellativo del temutissimo ragno provenga dal latino tĕrĕre: ‘sfregare, battere, estenuare’. Forse questi significati potrebbero essere collegati anche al ballo, che ha nel tamburello lo strumento caratteristico, o allo sfinimento fisico prodotto dai movimenti… Inoltre, l’animale e la danza sembrano avere legami di lunga data, sebbene non siano scientificamente validati.

La tarantella rappresenta l’espressione più famosa nel mondo della coreutica musicale popolare italiana e la sua diffusione si estende dal sud del Lazio a tutta la Sicilia. È considerata un ballo che mima il corteggiamento; una coppia attorniata da altre in cerchio è accompagnata da castagnette e tamburelli, suonati dagli stessi danzatori. Musicalmente è in tempo ternario: provate a pronunciare più volte di seguito «Nà-po-li, Nà-po-li… » e la tarantella è già nell’aria! Talvolta il ritmo accelera gradualmente, fino a un vortice parossistico. Ma c’è altro.

L’allegria che sprizza dalla tarantella ha radici nel Medioevo, quando in Europa la paura della morte finiva con l’esternarsi in balli furiosi; le persone danzavano, saltavano, giravano freneticamente, anche per ore o per giorni, sino a sfinirsi. Questi rituali avvenivano spesso in una chiesa o davanti a un sagrato e prendevano varie denominazioni. L’Italia meridionale conobbe una follia ballerina simile. Dal XV al XVII secolo correva una malattia nota come tarantismo, supposta conseguenza del morso della tarantola. Nel 1541 Francesco Berni parodiava l’Orlando innamorato del Boiardo:

Come in Puglia si fa contra al veleno
Di quelle bestie che mordon coloro
Che fanno poi pazzie da spiritati,
e chiamansi in vulgar Tarantolati.
Et bisogna trovare un che sonando
Un pezzo, trovi un son ch’al morso piaccia,
Sul qual ballando, & nel ballar sudando,
Colui da sé la fiera peste caccia.

(Francesco Berni, Orlando innamorato nuovamente composto… II, xvii, 6)

La credenza popolare voleva infatti che il veleno della tarantola, grazie alla danza, venisse eliminato col sudore.

L’erudito gesuita Athanasius Kircher nel suo Magnes sive de Arte Magnetica (1641) trascrisse otto brevi formule musicali usate proprio per curare il tarantismo. Qui si può ascoltare l’interpretazione ‘colta’ di una tarantella napoletana trasmessaci da Kircher.

Intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso Ernesto De Martino, Diego Carpitella e altri insigni etnomusicologi registrarono dal vivo le tarantelle del nostro Mezzogiorno, realizzando studi pionieristici che contribuirono a conferire al folklore e all’etnomusicologia italiana la dignità di scienza.

Le terapie coreutico-musicali potrebbero avere antecedenti storici nella katharsis musicale greca o nel coribantismo (antica tecnica per curare la possessione per mezzo della musica). Forse Tarentum, in greco Taras, oggi Taranto, diede i natali alla danza e l’aracnide si aggiunse dopo.

Il tarantismo non fu ritenuto dagli studiosi un’isteria, ma una rappresentazione della possessione conseguente al morso della tarantola. Uno straordinario servizio RAI del 1962 documenta che, similmente alle pratiche esorcistiche, all’invasamento iniziale seguiva il controllo della crisi.

Alcune tarantelle (ecco un esempio calabrese) sono composte da formule brevi e semplici, reiterate molte volte.

Gli organici sono vari e ‘rustici’; nel Salento si parte dal modello ‘base’, con una voce sola o un violino, aggiungendo via via tamburello, chitarra, mandolino, organetto.

Testi e melodie possono avere origini disparate, anche provenendo da àmbiti esterni e adattati al folklore locale. La pizzica tarantata oggi è estinta; tra le poche testimonianze superstiti esiste un documentario del 1962, commentato nientedimeno che da Salvatore Quasimodo. Quella che conosciamo dai palcoscenici delle odierne feste di piazza è una ‘pizzica’ reinventata, divenuta un filone di successo della musica popolare.

Nei secoli XIX e XX la tarantella ha ricevuto nuova vita nella musica cólta, composta generalmente in tempo 6/8 e con le agogiche (indicazioni relative al carattere e alla velocità esecutiva) Presto, Prestissimo, o Vivace. Così è, per esempio, la famosa Danza di Rossini, qui cantata dal compianto Luciano Pavarotti.

Nell’uso figurato ha trovato la sua nicchia ideale in campo politico, dove brulicano i proclami rumorosi e ossessivi degli esponenti di partito, oppure nello scaricabarile delle responsabilità, o in altri rimandi negativi.

Cionondimeno, la tarantella rimane foriera di salute e di allegria, e riallaccia i nostri legami con un tempo primigenio profumato di mirto, di lentisco e di mare.

Parola pubblicata il 20 Giugno 2021

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