Tiorba

tiòr-ba

Significato Strumento a corda con cassa grande e manico allungato, in voga tra la fine del XVI secolo e il XVIII secolo

Etimologia secondo alcuni, trasformazione fonetica da chiòrba, termine derivato dal latino corbula, diminutivo di corbis, ‘cesta’, che apparterrebbe alla stessa famiglia di curvus ‘curvo’, con riferimento alla cassa dello strumento. Secondo altri, derivato dall’arabo Tarab col significato di musica o di strumento musicale. Alcuni studiosi dichiarano invece un etimo incerto.

In Toscana si usa ancora oggi appellare uno zuccone con il termine vernacolare chiòrba, a cui alcuni fanno risalire l’origine del nome di questo strumento.

La maggior parte dei testi specialistici non azzarda un’etimologia definitiva. C’è chi sostiene che tiorba derivi dalla radice slava trb, chi la fa risalire all’arabo Tarab; secondo altre teorie, c’era una volta un tal signor Tiorba… Si ritiene, comunque, che Antonio Naldi detto ‘il Bardella’, cantore e liutista attivo alla corte medicea, sia stato l’inventore dello strumento. Secondo il grande erudito del Seicento, Athanasius Kircher, la tiorba venne chiamata scherzosamente così da un napoletano ambulante, che raddoppiò il manico al liuto e vi aggiunse diverse corde. Riferì inoltre che tiorba era anche il nome del pestello usato per macinare mandorle e altri semi. Insomma, chi più ne ha più ne metta.

Chiorba (capoccione, testone), corba (grossa cesta) e corbelleria (quisquilia o pinzillacchera, citando Totò) sono parenti stretti. Accettando la lezione di Alberto Nocentini, ‘tiorba’ sarebbe la variante ipercorretta di chiorba. L’ipercorrettismo è quel fenomeno manifestato da chi, insicuro nel traslare parole dal proprio dialetto alla lingua nazionale, interviene modificando a sproposito la dizione, adattandola a norme che – erroneamente – suppone giuste. È così che la capitale britannica, Londra, può trasformasi in un delizioso mustelide peloso e diventare lontra… potere della lingua.

Questo concerto interamente muliebre fu dipinto da Gerrit van Honthorst.
Le due strumentiste suonano, da sinistra a destra, quello che probabilmente è un chitarrone e un liuto, mentre altre tre cantano. Gli amorini in alto svolazzano felici

Alla fine del Cinquecento, la tiorba si diffuse partendo dalla natìa Italia verso il resto d’Europa, divenendo di gran moda; ovunque mantenne il nome quasi identico, con minime varianti.

Pare che lo strumento fosse menzionato per la prima volta, sotto il nome di chitarrone (il sinonimo tiorba invalse poco dopo), in un inventario del 1587 stilato proprio da Antonio Naldi, in servizio alla corte del granduca di Toscana Ferdinando de’ Medici.

Esiste anche un’altra accezione coeva della tiorba, che indicava però la ghironda o ‘viola da orbo’, giacché era suonata soprattutto da non vedenti.

La tiorba-chitarrone fu concepita per accompagnare il canto a voce sola, che alla fine del Cinquecento andava definendosi con caratteristiche ispirate alla musica dell’antica Grecia; lo stesso nome chitarrone rivela il desiderio di far discendere lo strumento dalla kithara.

Nella tiorba, le corde dette canto e sottana, che dovrebbero essere le più acute, sono invece accordate all’ottava inferiore. Perciò il nostro strumento fu raccomandato per accompagnare la voce del tenore, cosicché la tessitura vocale del canto si mantenesse più alta di quella della tiorba. Questo tipo di accordatura, cosiddetta ‘rientrante’, è un tratto distintivo della tiorba o chitarrone.

La tiorba era pratica sotto molti punti di vista: meno ingombrante e costosa di un ensemble strumentale e più maneggevole di un clavicembalo o di un organo, grazie all’aggiunta di corde al basso aveva un’estensione notevole. Le corde inferiori, dette bordoni, potevano essere suonate solo a vuoto e il prolungamento del manico, dove erano tese, veniva definito ‘tratta’.

Nel XVII secolo furono pubblicate diverse intavolature di musica per tiorba solista, e sono state recentemente recuperate anche alcune composizioni manoscritte, probabilmente del famoso tiorbista italiano di origine tedesca, Giovanni Girolamo Kapsperger.

Benedetto Ferrari, compositore e acclamato tiorbista, scrisse invece il libretto dell’Andromeda, prima opera teatrale con pubblico pagante rappresentata a Venezia nel 1637, dove il musicista partecipò anche in veste d’impresario e suonò il suo strumento nell’orchestra.

Grazie alle peculiari qualità sonore, la tiorba è stata eccellentemente utilizzata per realizzare il basso continuo; la prassi, valida per qualsiasi strumento polifonico, è che il tiorbista legga la linea del basso e crei estemporaneamente l’accompagnamento secondo il suo estro. Ma, dopo il Settecento, il suo impiego decadde.

Sicuramente, tiorba non è una parola facilmente spendibile fuori dall’ambito musicale, ma la cultura passa anche dalle sue corde.

Parola pubblicata il 29 Gennaio 2023

Le parole della musica - con Antonella Nigro

La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale