> Grammatica dubbiosa

Il nome va sempre prima del cognome?

La scelta di questo ordine ha effetti precisi, regole generali, eccezioni di cortesia e di mondo — che spesso anche le persone più dotte si ritrovano a violare.

Quanto è importante scrivere come ci chiamiamo, e quante volte ci capita di farlo, inserendo il nome del 'sottoscritto/a'? Talmente spesso che è la prima cosa che si impara a scrivere (e in certi casi malaugurati, l'unica) . Sappiamo come ci chiamiamo, ma in che ordine vanno scritti i nostri nomi e cognomi? Ci sono volte in cui si deve scrivere Mario Rossi e altre in cui è più corretto scrivere Rossi Mario?

Si tratta di una questione linguistica molto semplice e che potrebbe parere da nulla, ma per la frequenza con cui emerge e per gli effetti che ha un uso diverso dalla regola, merita di essere osservata.

La regola

La regola viene fissata dalla nostra legge: il nome di una persona ha naturalmente un ruolo centrale nella sua identità giuridica, e questo è uno dei rarissimi casi in cui in effetti si può parlare di una regola linguistica che non solo si fonda su un uso chiaro e condiviso, ma che ha un sostegno normativo da parte del diritto. L'articolo 6 del Codice Civile sancisce (grassetto nostro):

Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito.
Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.
Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati. [...]

La risposta quindi breve è: il nome intero di una persona si compone, nell'ordine, di nome (o prenome, echeggiando il praenomen dell'onomastica latina) e cognome. E questa è la regola generale, testimoniata anche lungo tutto l'Ordinamento di stato civile (Decreto Presidente della Repubblica 396/2000), secondo cui in ogni registrazione, in ogni atto, il nome è dichiarato e più genericamente contemplato prima del cognome.

Quasi unica eccezione (degna di nota solo per lo squarcio di tenerezza che talvolta la legge sa avere), l'art. 38 dell'Ordinamento di stato civile: al minore abbandonato, che viene ritrovato e di cui non si conoscano le generalità, è scritto che l'ufficiale impone il cognome e il nome — concettualmente, prima il termine generale e meno proprio, poi quello più intimo. Ma è una situazione che non ha rilevanza sull'uso generale.

I casi in cui il cognome viene prima del nome

Si tratta di elenchi. La varietà dei cognomi supera quella dei nomi, ed è naturale ed efficiente organizzare lunghi elenchi di persone facendo precedere il cognome (anche se non si tratta di un uso universale). Elenchi telefonici, scolastici, militari, amministrativi, notazioni cancellierali: il gusto netto è quello dell'elenco burocratico che organizza in maniera razionale una fila di termini in cui si deve poter fare una ricerca per ordine alfabetico nella maniera più rapida possibile, o della notazione da atto giuridico che richieda rapidità di identificazione. Ed è qui che si nasconde il nocciolo del problema.

L'impressione che diamo se anteponiamo il cognome è quella di avere in mente, come modello primario della lingua, il modello burocratico, in cui le esigenze alfabetiche e identificative sono specialmente ricorrenti. Può anche essere un effetto voluto: identificarsi come «Rossi Mario», ha una sfumatura da presentazione sportiva, scolastica, cameratesca. In maniera intelligente e cortese, posso presentarmi come «Moretti Giorgio» se so che l'interlocutore deve ricercare il mio nome in una lista. Ma in ogni altro caso in cui non occorrano necessità alfabetiche o identificative, anteporre il cognome ha l'aria di un'affettazione provinciale — e con un po' di malizia si può dare l'impressione di non sapere come ci chiamiamo.

Dopotutto, si tramanda (ma lo riporta anche il linguista Aldo Gabrielli nel suo celebre Si dice o non si dice?) che un arcigno Giosuè Carducci, professore universitario a Bologna, si sia rifiutato di firmare il libretto di frequenza di uno studente che gli si era presentato come 'Rossi Arturo': «Le farò la firma quando avrà imparato a dire correttamente il suo nome!».

Senza il rischio concreto di una reazione del genere, e senza indulgere nelle categorie dell'errore, ciò che è certo è che un uso irregolare circa l'ordine di nome e cognome può avere un che di goffo. Non villano, non bruto, ma che confonde la pratica burocratica con un esempio elevato.

Quando è vero il contrario

Oggi è stata data notizia della morte di un grande artista, autore del celebre manga Sampei. Ogni testata ne ha dato la notizia chiamandolo 'Takao Yaguchi'. Praticamente nessuno, dalle nostre parti, lo ha chiamato 'Yaguchi Takao', anche se è questo il modo in cui, naturalmente, si presentava. Perché nell'uso giapponese (ma anche in quello ungherese) il cognome viene anteposto al nome. Parlare di Haruki Murakami è in effetti poco di mondo, da parte nostra, come lo sarebbe, da parte di una nostra conoscenza nipponica, parlare di... Fo Dario.

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