Note sul ciclo ‘Radici indoeuropee’
In questo articolo sono raccolte alcune annotazioni che aiutano la lettura e la comprensione delle trattazioni del ciclo di parole Radici indoeuropee. Le spiegazioni di carattere trasversale che vengono date di volta in volta su certe questioni generali non vengono ripetute nelle singole parole, ma inserite qui per una sinossi più agile.
Asterisco
Quando scriviamo una forma in corsivo preceduta da un asterisco (p.es. protoindoeuropeo *ménti- ‘pensiero’), stiamo indicando che si tratta di una parola o una radice ricostruita, cioè dell’ipotetica forma preistorica che ricaviamo dalla comparazione tra parole imparentate nelle lingue storiche (p.es. antico indiano matí- ‘pensiero’, latino mēns, mentis ‘mente’, inglese mind ‘mente’ etc.).
Nella maggior parte dei casi, le forme ricostruite che citiamo si riferiscono al protoindoeuropeo, ma l’asterisco si usa anche per citare le forme ricostruite delle protolingue intermedie tra il protoindoeuropeo e le lingue storiche, come il protoindoiranico, il protogreco, il protoitalico etc. (p.es. l’ingelse mind discende dal protoindoeuropeo *ménti- attraverso il protogemanico *mundi-, come inferiamo dalla comparazione tra lingue germaniche: antico inglese mynd, antico islandese mynd, gotico ga-munds ‘ricordo’ etc.).
Trattino finale
Quando scriviamo una forma in corsivo con un trattino finale, stiamo citando la radice di una parola (p.es. protoindoeuropeo *med- ‘riempirsi, saziarsi, inebriarsi’) oppure il suo “tema puro”, cioè la parte della parola formata da radice ed eventuale/i suffisso/i, alla quale poi si attaccano le desinenze per flettere la parola (p.es. protoindoeuropeo *med-tó- ‘pieno, sazio, ebbro’, tema puro dell’aggettivo che si flette *med-tó-s al nominativo, *med-tó-m all’accusativo, *med-tó-si̯o- etc.).
Così si citano per convenzione le radici, i sostantivi e gli aggettivi (più raramente i verbi) del protoindoeuropeo e anche di alcune lingue indoeuropee antiche, come l’ittito e l’antico indiano (p.es. il nome dell’antico dio indiano Indra sarebbe índraḥ al nominativo, índram all’accusativo, índrasya al genitivo etc., ma i glottologi citano il tema puro índra-).
Laringali — dalla trattazione di ‘sapiente’
Di regola, le radici ricostruite per il protoindoeuropeo sono formate da almeno tre fonemi (suoni che servono a costituire le parole di una lingua) secondo lo schema minimo “CVC”, consonante – vocale – consonante. Nel caso di *seh1p- questa struttura è realizzata con due consonanti finali, una delle quali, *h1, merita la nostra attenzione. Questo fonema è chiamato dagli indoeuropeisti laringale ed è uno degli argomenti più entusiasmanti della glottologia indoeuropea. Il numero in pedice serve a distinguere i tre fonemi laringali che si possono ricostruire per il protoindoeuropeo e che per convenzione vengono scritti come *h1, *h2 e *h3. Avremo modo di parlarne spesso, e impareremo a distinguerne i diversi esiti nelle lingue storicamente attestate. Non sappiamo molto sulla realtà fonetica delle laringali, cioè su come venissero effettivamente pronunciate. Un’ipotesi è che *h1, con cui abbiamo a che fare in *seh1p-, fosse una consonante fricativa glottidale (la h di inglese horn, o la cosiddetta gorgia toscana, la famosa c aspirata della hohahola holla hanuccia horta horta) e *h2 e *h3 fossero delle consonanti fricative uvulari (la r del portoghese), sorda e sonora rispettivamente, ma varie altre ipotesi sono state avanzate. Ma perché sappiamo così poco sulle laringali, se le ricostruiamo per il protoindoeuropeo? Il motivo è che le laringali sono ricostruite non tanto sulla base di fonemi attestati nelle lingue storiche, bensì inseguendo una serie di indizi, varie stranezze sparse qua e là nella grammatica delle lingue indoeuropee, in particolare nella flessione dei verbi. Fu il grande linguista ginevrino Ferdinand de Saussure (1857-1913) il primo ad accorgersi, alla veneranda età di vent’anni, che alcune di queste asimmetrie svanivano d’un colpo introducendo nel sistema fonetico del protoindoeuropeo questi tre fonemi. Una teoria molto audace, a lungo giudicata solo un’ingegnosa speculazione algebrica — come spesso accade alle scoperte della glottologia indoeuropea —, che però trovò una conferma clamorosa nel 1927, quando fu dimostrato che la lingua ittita (gli Ittiti erano un popolo indoeuropeo stanziato in Anatolia, l’odierna Turchia, nel II millennio a.C.) conservava ancora come veri e propri segmenti consonantici ben due delle laringali teorizzate, *h2 e *h3: sono sopravvissute nel fonema che, nella traslitterazione delle tavolette cuneiformi ittite, scriviamo come ḫ.

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