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La lingua etrusca e il suo non troppo fitto mistero

Storia e collocazione di una lingua e di un popolo italico celebre, che ha lasciato una traccia profonda nella storia di Roma e d’Italia — con un’aura di mistero non sempre giustificata

Etrusco: una lingua e un popolo davvero misteriosi?

I famosi termini ‘Etrusco’ ed ‘Etruschi’ ci accompagnano dalla scuola primaria, anche se capita spesso che il mondo etrusco venga relegato a quelle poche paginette del libro scolastico che, inevitabilmente, precedono lo studio della grande Roma. Eppure, allo stesso modo del vicino di casa romano, quel mondo ha tanto da offrire: in questo excursus cercheremo di fare chiarezza sul popolo, la lingua e la cultura degli Etruschi, esempio di una civiltà affascinante che ha esercitato a lungo una grande influenza.

Il ‘mistero’ della provenienza degli etruschi

Per quanto riguarda l’etimologia, il nome del popolo è stato oggetto di numerose indagini: i Romani sono soliti utilizzare i due nomi ‘Etruria’ e ‘Tuscia’ con riferimento alla regione etrusca corrispondente all’odierna Toscana; i Greci chiamano il popolo etrusco con il nome di Tirseni (o Tirreni). Invece, la denominazione utilizzata dagli stessi Etruschi è quella di Rasenna/Rasna. Un alone di mistero circonda l’origine dei nostri amici etruschi: si tratta di un popolo autoctono dell’Italia oppure immigrato dall’Asia Minore? Il dibattito verte, in sostanza, su due posizioni principali (tesi ‘orientale’ e tesi dell’autoctonia): per Erodoto, storico greco del V secolo a.C., il popolo proverrebbe dalla Lidia (Asia Minore) e sarebbe giunto in Italia con Thyrsenos, figlio del re della Lidia; per Dionisio di Alicarnasso, storico greco dell’epoca di Augusto, gli Etruschi sarebbero originari dell’Italia.


Alfabeto Greco

Stando agli antichi, l’introduzione della scrittura in Etruria è legata al nome di Demarato di Corinto. L’alfabeto etrusco è costituito da ben 26 segni (grafemi) e, secondo la teoria più diffusa, gli Etruschi della Campania avrebbero adottato l’alfabeto greco, nello specifico quello calcidese proveniente dall’Eubea e presente a Pithecusa (sull’attuale isola di Ischia) e Cuma, e lo avrebbero modificato sulla base delle loro esigenze, per poi diffonderlo nelle altre zone etrusche. Questa tesi è stata rivista in seguito alle più recenti acquisizioni di dati epigrafico-linguistici, ma indubbiamente non può venir negata a questo popolo una funzione significativa nell’accoglimento e trasmissione dell’alfabeto. In generale, è necessario tenere in considerazione una differenziazione tra Etruria settentrionale e meridionale, poiché le due zone si servono di due alfabeti che variano a seconda di differenti realizzazioni grafiche.

La documentazione: tra lamine d’oro e bende di lino

La vastissima area di estensione dell’etrusco ricopre l’Etruria vera e propria (la regione storico-geografica compresa fra Arno e Tevere e corrispondente a gran parte della Toscana, il Lazio settentrionale e l’Umbria occidentale), nonché parte della Campania e dell’Etruria padana (Emilia-Romagna e Lombardia). La documentazione, relativa al periodo compreso tra i secoli VII e I a.C., è caratterizzata da un numero cospicuo di testi, più di 11.000, nonostante essi siano estremamente frammentari e, spesso e volentieri, si riducono  semplicemente a nomi propri.

Andiamo ora alla scoperta di alcune delle principali testimonianze della lingua e cultura etrusca. Gli scavi avvenuti nel 1964 presso il santuario di Pyrgi (situato nell’odierna Santa Severa, nei pressi di Roma) e guidati dal noto archeologo ed etruscologo Massimo Pallottino sono stati di grande importanza per il rinvenimento delle Lamine di Pyrgi, tre lamine d’oro che recano incise iscrizioni di carattere religioso, due in etrusco e una in punico, risalenti al 500 a.C. circa. Perché questa fu salutata come la scoperta del secolo? La risposta deve essere ricercata nella particolare tipologia testuale con cui ci si è confrontati, vale a dire testi che, seppur non propriamente bilingui, avrebbero potuto essere di grande aiuto per l’interpretazione dell’etrusco, ma ci si è scontrati con l’assenza di un sistema linguistico simile con cui istituire quel raffronto. I testi riportano la dedica da parte del tiranno di Caere – che sorgeva sul luogo dell’odierna Cerveteri – verso la dea Uni-Astarte, come ringraziamento per il regno ottenuto. Ad ogni modo, grazie al testo di Pyrgi si è giunti ad alcune conferme quali, per esempio, il fatto che il numerale ‘tre’ venisse espresso con ci.

 Strettamente connessa alla ‘tesi orientale’ è la Stele di Lemnos, datata alla fine del VI secolo a.C. e rinvenuta a Lemno, isola greca nel Mar Egeo settentrionale; il dedicatario del monumento è un guerriero e grazie al testo apprendiamo informazioni essenziali sulla sua vita.

Il liber linteus di Zagabria è il testo più lungo, una sorta di manoscritto, risalente al periodo a cavallo tra i secoli III e II a.C. Si tratta di una benda di lino utilizzata per avvolgere una mummia – ed ecco svelato il motivo per cui la denominazione più comune è ‘Mummia di Zagabria’ –  costituita da dodici riquadri rettangolari in cui troviamo un calendario rituale. Un altro famoso documento è quello contenuto nella Tabula Capuana, nota anche come tegola di Capua, poiché ritrovata a Santa Maria Capua Vetere (in provincia di Caserta), e relativa al V secolo a.C. Si tratta del secondo testo più lungo tra quelli pervenutici ed è una sorta di calendario rituale che riporta le date prestabilite in cui compiere determinate cerimonie. Un’ultima fonte particolarmente significativa, nonché di recente scoperta, è la Tabula Cortonensis, rinvenuta a Cortona (in provincia di Arezzo) e ascrivibile alla fine del III-inizio II secolo a.C. Il contenuto testuale potrebbe riferirsi a un accordo commerciale oppure alla celebrazione di una cerimonia organizzata da una famiglia in ricordo di un parente defunto. 

Per avere un’idea meno fumosa di questa lingua, ecco di seguito un esempio di iscrizione di carattere funerario (la tomba in questione apparteneva all’aristocrazia tarquiniese), con relativa traduzione, tratto da Iscrizioni etrusche: leggerle e capirle di Enrico Benelli.

velθur larisal clan cuclnial 2 θanχvilus lupu avils XXV
[Velθur figlio di Laris (e) di Θanχvil Culcnei, morto a 25 anni]

Indoeuropeo o no?

Definire la posizione linguistica dell’etrusco, all’interno del panorama delle lingue che popolano l’Italia prima dell’espansione romana, costituisce uno dei problemi maggiori con cui gli studiosi si confrontano da sempre o, meglio, si scontrano. Si tratta di un problema di natura genealogica e storica e il cuore della questione risiede nel tentativo di stabilire se la lingua etrusca appartenga o meno alla famiglia linguistica indoeuropea. Allo stato attuale degli studi, un’interpretazione unilaterale continua a non essere fornita, ma la tesi più accreditata è che questa lingua, indubbiamente sui generis, non sia parente delle altre tradizioni linguistiche vicine ad essa, dunque non si possa considerare appartenente all’indoeuropeo. La questione della parentela linguistica dell’etrusco, che la si voglia considerare una chimera o meno, ci permette quantomeno di ricollegarci al dibattito sull’inafferrabile ‘mistero etrusco’: come direbbe Domenico Silvestri, glottologo italiano, «un problema male impostato è sempre un problema insolubile o (ma è lo stesso) offre soluzioni illusorie e contradditorie». Si vuole, così, intendere che la risoluzione del ‘mistero’ consiste nell’applicazione del rigore scientifico di un approccio metodologico coerente: se anche se non conosciamo il significato di tutte le parole, ormai le strutture della lingua non sono più così tanto oscure.

Una realtà non isolata

Un aspetto particolarmente interessante riguarda l’interagire culturale e linguistico tra gli Etruschi e le altre realtà con cui essi intrattengono rapporti, giacché – si sa – abbiamo a che fare con un popolo di instancabili girovaghi. Dobbiamo immaginare una fitta rete di continui scambi e interferenze tra etrusco, lingue italiche, latino e greco, una realtà multiforme in cui le parole chiave sono ‘circolazione’, ‘ricezione’ e ‘rielaborazione’ di influssi.

I probabili prestiti dell’etrusco (in un primo momento lingua egemone e di prestigio) in latino interessano diverse aree semantiche: rappresentazioni sceniche; commercio; tecnica e artigianato; religione e organizzazione sociale e statale (anche se, contro ogni aspettativa, in questi ultimi campi citati si registra un numero davvero basso di prestiti). Per avere un’idea ancora più chiara della mobilità etrusca e dell’intrecciarsi di relazioni con le altre genti, pensiamo all’iscrizione che recita mi mamerce asklaie e indica un osco di Ascoli che vive a Capua, ma scrive in etrusco. Infine, un numero cospicuo di parole greche è attestato direttamente nelle iscrizioni etrusche e, al contempo, molti imprestiti greci sono passati in latino attraverso la mediazione etrusca: esempi del primo tipo sono nomi di persona, appellativi e nomi legati alla mitologia greca; illustrative della seconda categoria sono parole come lanterna < λαμπτήρ o ancŏra < ἄγκῡρα.

Una civiltà evoluta e raffinata

Alla base della società vi è un’organizzazione in città-stato indipendenti accorpate in gruppi di dodici: la famosa dodecapoli etrusca. Tra i centri storicamente più importanti ricordiamo Tarquinia, Caere, Vulci, Veio, Volterra, Chiusi, Perugia, Arezzo, Chiusi. Un’assemblea di aristocratici ha il compito di controllare le azioni del re, comunemente noto come ‘lucumone’, e dei magistrati supremi. La donna, rispetto al mondo greco e latino, gode di maggiore libertà: può partecipare a banchetti, spettacoli e altri eventi pubblici. Una tale considerazione è scandalosa per i Romani che, infatti, non hanno perso l’occasione di condannare questi costumi, troppo licenziosi e poco morali.  Gli Etruschi, dediti a molte pratiche religiose, sono anche eccellenti conoscitori dell’arte divinatoria. Essi manifestano il costante bisogno di conoscere il parere della volontà divina, in modo tale da adattare ad esso ogni azione, da quelle più significative a quelle quotidiane: basti pensare agli arùspici, i sacerdoti esperti nell’osservazione delle viscere animali, oppure agli àuguri, responsabili dell’interpretazione del volo degli uccelli.  

Il culto dei morti è centrale, poiché questa straordinaria popolazione crede fortemente nella vita dopo la morte. Le tombe sono caratterizzate da ambienti interni che riproducono l’abitazione privata del defunto. Ed ecco svelato il motivo per il quale, all’interno delle camere sepolcrali, sono stati ritrovati numerosi oggetti personali legati alla vita del defunto. Ritroviamo, inoltre, un’usanza tipica anche della nostra cultura, vale a dire il lungo corteo dalla casa del compianto alla tomba di famiglia (almeno per i personaggi più illustri). E che dire di un’altra grande maestria che contraddistingue gli Etruschi? Ci stiamo riferendo all’eccezionale produzione artistica: non sono solo abilissimi artigiani nella lavorazione dei metalli e amanti dei raffinati oggetti di lusso, ma anche esperti nella pittura. Gli affreschi colorati che adornano le pareti delle tombe hanno il compito di tramandare scene di vita quotidiana, come culti rituali, spettacoli, danze, banchetti, giochi atletici. Risulta immediato comprendere quanto le necropoli etrusche siano estremamente preziose, considerato che la maggior parte delle conoscenze circa la cultura e civiltà è giunta a noi grazie ai ritrovamenti archeologici in esse conservati. Ricordiamo, per esempio, la necropoli della Banditaccia, a Cerveteri, in cui è stato rinvenuto il celebre Sarcofago degli sposi.

Infine, gli Etruschi sono evoluti anche da un punto di vista architettonico, poiché introducono la novità dell’arco nella costruzione delle porte delle mura, degli acquedotti, delle abitazioni; novità che troverà ampia diffusione presso i Romani. Sono, pertanto, grandi costruttori di città, porti ed empori, principalmente per via dei traffici commerciali e militari.

L’etrusco oggi

Consideriamo un aspetto curioso: il fenomeno linguistico della cosiddetta gorgia toscana, vale a dire la pronuncia aspirata delle consonanti occlusive sorde (in particolar modo della “c”, quella di casa) tra due vocali. Un qualsiasi toscano non farà alcuna fatica a capire a quale fenomeno ci stiamo riferendo, se pensa alla pronuncia della parola “fuoco” o del sintagma “la casa”; a tutti gli altri possiamo invece suggerire di pensare a un qualsiasi film di Benigni. Ebbene, tale fenomeno è stato considerato come un residuo dell’azione sostratistica esercitata dall’etrusco sul latino. La teoria è indubbiamente affascinante, ma è stata ormai abbandonata da quasi tutti gli studiosi, considerata la difficoltà di affermare l’esistenza di una continuità diretta tra gli influssi delle lingue prelatine e gli sviluppi tipici dei dialetti italiani. Oggi troviamo l’eredità etrusca in giro per l’Italia: nella toponomastica, in qualche raro relitto lessicale, nelle ville, nelle necropoli, nei santuari, nelle porte d’accesso con la tipica costruzione ad arco, nelle cinte murarie e si potrebbe andare avanti a lungo!

Insomma, automobile e navigatore satellitare (o cartina stradale, per i più nostalgici) saranno più che sufficienti per andare alla scoperta di una civiltà grande, raffinata e potente. Che coincidenza: la parola satellitare deriva dal latino sătellēs ‘guardia del corpo’, di probabile origine etrusca. Vi sono anche altre parole di ascendenza etrusca che continuiamo a usare quotidianamente: il termine persona in latino aveva anche l’accezione di ‘maschera teatrale’, probabilmente derivato dal greco prósōpon ‘viso’ attraverso l’etrusco phersu ‘maschera’; oppure (e rimaniamo ancora nell’àmbito del teatro!) istrione deriva dal latino histrĭo, forse dall’etrusco hister ‘mimo, ballerino’. Leggiamo spesso che la parola popolo ha una probabile origine etrusca, ma in verità questa affermazione non è così pacifica. Il linguista Carlo De Simone fornisce una spiegazione esaustiva: in etrusco esiste l’appellativo *puple, che si ritrova in latino come imprestito poplo- ‘gioventù in armi’, e anche l’umbro presenta poplo- con il medesimo significato; questo consente di connettere il verbo latino populāre ‘agire con una armata’ con poplo- e non con l’etrusco *puple.

Siamo, dunque, veramente sicuri che l’etrusco sia un mistero? L’unico vero segreto da svelare è che l’etrusco non è un mistero o, meglio, non lo è più.

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