Sacrificio

sa-cri-fì-cio

Etimologia dal latino: sacrificare, composto da sacrum azione sacra e -ficium per facere fare.

Abbiamo tutti l’immagine del cruento sacrificio sull’altare con lame affilatissime, urla, muggiti, sangue che chiazza il pavimento, il puzzo della carne che si consuma sul fuoco. E di certo se ci è richiesto un sacrificio pensiamo a privazioni, rinunce, mortificazioni - e questo rientra in una generalizzata perdita del senso del sacro.

Il sacrificio non porta il significato originale di dolore, crudeltà, dedizione sofferta. Quando si porta un mazzo di fiori alla persona amata, è un fragrante sacrificio di fiori freschi. Quando si offre un giro di bevute al pub, quello è un sacrificio in onore dei presenti. E così è un sacrificio aver cura meticolosa dell’ospite, esprimere i propri sentimenti con belle parole al momento giusto - quasi fossero formule di una liturgia antica e preziosa -, ed è un sacrificio elevato alla propria salute non chiedere il bis di dolce e rimettere la sigaretta nel pacchetto.

Il sacrificio è il compimento di un’azione sacra che, in quanto tale, celebra il sacro, celebra ciò che importa, celebra il valore che dà un senso a noi stessi e alla vita e non va trascurato, specie nella minutezza della quotidianità. Perché si tende a fare come diceva Goethe: “Siamo capaci di fare molti sacrifici nelle cose grandi, ma di rado siamo in grado di sacrificare le piccole”.

Parola pubblicata il 05 Marzo 2011