Autopoiesi

au-to-po-iè-si

Significato Capacità dei sistemi viventi di riprodurre sé stessi, replicando e conservando la relazione degli elementi da cui sono composti; proprietà di ogni sistema capace di riprodurre invariata la propria organizzazione indipendentemente dalle circostanze

Etimologia conio dei biologi Humberto R. Maturana e Francisco J. Varela del 1980, composto dal greco autós ‘da sé’, poíesis ‘creazione’.

Che parola difficile! Proprio per questo è così accattivante, e usarla attira l’attenzione come lanciare un petardo in salotto. Anche perché è una parola che appare difficile ma non astrusa: la sua composizione greca è trasparente — autós ‘da sé’, poíesis ‘creazione’. E il significato coglie un tratto affascinante e caratterizzante dei sistemi viventi.

Infatti si tratta di un termine primariamente riferito all’ambito della biologia, anche se ha un respiro filosofico. Viene coniato in un saggio dei biologi cileni Humberto R. Maturana e Francisco J. Varela del 1980, Autopoiesi e cognizione — la realizzazione del vivente. L’intento è quello di cogliere un tratto necessario e sufficiente per definire un sistema vivente, e tale tratto è l’autopoiesi. La capacità di ridefinirsi continuamente in uno spazio fisico riproducendo sé stessi e mantenendo invariata la propria organizzazione interna; una capacità determinata dall’organizzazione dell’entità autonoma che è il sistema vivente, differenziato in unità composite con relazioni locali.

Non si deve fare finta che sia una nozione facile. Si può però fare qualche approssimazione esplicativa, e qualche esempio.

L’autopoiesi, in quanto autocreazione che scaturisce da un’organizzazione interna tesa a conservarsi, ridefinirsi e riprodursi davanti ai mutamenti dello spazio fisico, è la capacità di avere e mantenere un’identità. Caratterizza tanto l’umano quanto la sua singola cellula, questo è evidente; ma è una nozione che è discusso si possa spingere fino alle organizzazioni sociali (le società umane sono sistemi biologici?).

Ora, un termine così affascinante, anche se nasce con l’ambizione di un uso scientifico rigoroso, fa presa per estensione in discorsi più profani che ne vogliono cogliere la suggestione in maniera più disinvolta: la voglia di usare parole grosse a volte è troppa, specie se sono belle.

Così, usando questo termine in maniera euristica (bel modo per dire ‘accettabilmente alla carlona, non mettiamoci a fare le pulci’), potremmo notare l’attitudine autopoietica della città romana, capace di conservarsi ridefinirsi e riprodursi coi suoi anfiteatri, terme, cardi e decumani dalla Britannia alla Siria, alle capacità autopoietiche della società borghese puritana che vediamo in Robinson Crusoe, che si stabilizza e replica anche sull’isoletta alla foce dell’Orinoco a partire da un sol uomo, del sistema di diritto che si rivela autopoietico producendosi e conservandosi attraverso il diritto, arrivando perfino all’autopoiesi della fiaba tradizionale, che si adatta di tempo in tempo senza autore.

Le parole che s’inventano e piacciono non restano giocattoli nostri: passano di mano in mano, e le persone finiscono per usarle nelle maniere più impensate. Così, davanti a una parola del genere, non c’è che da augurarsi che la pratica di un bell’uso, continuo e diffuso, le dia ancora più prontezza. Non sono forse autopoietiche anche le parole?

Parola pubblicata il 19 Novembre 2020