Ammiraglio
am-mi-rà-glio
Significato Comandante di una flotta armata, grado massimo di un ufficiale della Marina Militare
Etimologia dall’arabo amir al-bahr, che significa signore, comandante del mare, dal verbo àmara ‘comandare’, e bahr ‘mare’, carica diffusasi dapprima in Sicilia, alla corte normanna, e poi in tutte le altre marine, attraverso il greco-bizantino amerás prima e il latino medievale amiratus poi.
Parola pubblicata il 28 Agosto 2020
Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini
Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.
Che cosa hanno in comune Horatio Nelson, eroe della battaglia di Trafalgar, figura mitica dell’impero britannico, e Carlo erede al trono di Londra?
Sono entrambi principi, anche se… ma andiamo con ordine.
La parola ‘ammiraglio’ deriva dall’espressione araba amir al-bahr, ovvero ‘comandante del mare’. Questo titolo è entrato in italiano attraverso il greco-bizantino amerás, passato alla corte normanna di Sicilia con la versione latinizzata amiratus, e poi si diffuse in tutte le altre marine del mondo. Il verbo àmara, da cui deriva amir, in arabo significa ‘comandare’ e non vi state sbagliando se sentite echeggiare nell’orecchio una consonanza con la parola ‘emiro’. Chi altri è un emiro se non il comandante di uno stato, qualcuno che ha la facoltà di emettere un ordine e di vederlo eseguito?
Se l’origine del termine amir è prettamente militare, nel tempo esso ha assunto il significato equivalente al nostro titolo di principe, non inteso come primus inter pares, ma come appartenente ad una dinastia reale, uomo discendente di una stirpe nobile, degno per nascita di sedere sul trono di un paese e di comandarlo; ecco perché gli emirati di oggi, come quello di Dubai o del Kuwait, possono essere considerati dei principati, tipo quello di Monte Carlo, per intenderci. E se l’emiro è il capo indiscusso del suo principato, l’ammiraglio lo è della flotta.
È così che arriviamo all’ammiraglio Horatio Nelson, il grande ‘comandante del mare’ che il 21 ottobre 1805 sconfisse la flotta napoleonica a capo Trafalgar (per la cronaca, anche il toponimo Trafalgar deriva dall’arabo: tarf al-gharb, ovvero punta d’occidente) a bordo della nave ammiraglia HMS Victory. Fu una battaglia epocale, con ventisette vascelli britannici che schiacciarono le trentatré navi francospagnole al largo delle coste andaluse e che però costò la vita al leggendario comandante, il quale, comunque, fece in tempo a vedere il grande trionfo della sua armata e poté così render l’anima da vincitore.
Al tempo di Nelson il termine ‘emiro’ forse non aveva ancora la connotazione principesca che ha oggi, ma è romantico pensare alla figura dell’ammiraglio, comandante supremo di una flotta, detentore del potere militare, ma anche di quello civile e religioso quando in navigazione, come ad un coraggioso, valoroso e indomito principe del mare.
La sterminata distesa delle acque è sin dalla notte dei tempi, nell’immaginario umano, un regno misterioso, pieno di insidie e minacce al limite tra il magico e l’animale. Onorare la persona che è capace di domare i cavalloni dell’oceano, di raggiungere l’altra riva e di battere la flotta nemica con un titolo che risuoni di nobiltà e prestigio è quasi naturale. Ma d’altra parte i cinque ammiragli che compongono l’organo direttivo del Ministero della Marina Britannica, non si chiamano forse sea lords, ovvero ‘signori del mare’?