Principe
Scorci letterari
prìn-ci-pe
Significato Primo, principale, preminente; titolo nobiliare di chi nel medioevo era secondo solo all’imperatore, e poi di sovrani e di appartenenti a famiglie regnanti; successore al trono; persona di grande autorità e prestigio
Etimologia dal latino princeps propriamente ‘che prende il primo posto’, composto di primus ‘primo’ e dal tema di càpere ‘prendere’.
Parola pubblicata il 27 Marzo 2018
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
C’è una piccola considerazione di significato che permette di notare il sapore pieno di questa parola, al di là dei soliti usi, larghi e piatti, che ci parlano di sangue blu, di potenti, di teste coronate.
Con un tono fine e ricercato si può parlare dell’argomento principe di una tesi, del libro principe di un autore, del motivo principe che mi spinge all’impresa. ‘Principe’ è originariamente chi o ciò che prende il primo posto, e perciò il principale, il preminente. Il riferimento a un consesso di nobili in cui qualcuno spicca o a persone cui è conferito un alto potere è un esito particolare del concetto. Dopotutto anche in latino il princeps è sinteticamente il primo, il sommo, il più importante.
Esito particolare ma rilevante e paradossale: nel medioevo feudale il principe è propriamente il nobile secondo solo all’imperatore; successivamente diventa appellativo generico di teste coronate, anche se quel colore di secondità resta. Tant’è che spesso per principe intendiamo il principe ereditario, il presunto successore al trono. Molto curioso che il primo, in questi casi, sia in effetti il secondo: prende il primo posto… libero.
Ma tralasciando le gerarchie nobiliari, solo con un occhio alla dignità che ispirano si dice principe anche la persona di grande autorità e prestigio: Robin Hood è il principe dei ladri, per le arringhe del principe del foro si accalca una platea di spettatori, e l’idraulico narciso si fa chiamare principe dei sifoni.
Una parola tanto densa.
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(N. Machiavelli, Il principe, cap. XVIII)
Dovete sapere [che ci] sono due [modi] di combattere: l’uno con le leggi; l’altro con la forza. Quel primo è proprio dello uomo; quel secondo, delle bestie. Ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo: pertanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo. […] [Quanto alla] bestia, [il principe] debbe di quella pigliare la golpe e il lione: perché el lione non si difende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi.
Ridere delle disgrazie altrui non è carino, ma con Machiavelli la tentazione è forte. Conduce una brillante carriera politica nella Firenze repubblicana; poi i Medici riprendono il potere, e lui viene messo da parte. Lotta pazientemente per risollevarsi, ma proprio quando è in dirittura d’arrivo torna la repubblica, e lui viene emarginato di nuovo. Si sforza di difendere il suo operato ma, prima che possa riuscirci, muore. Insomma, poveretto.
Eppure la sua analisi politica è rivoluzionaria e acuta, poiché attinta dall’esperienza concreta. Anziché idealizzare il principe, Machiavelli gli consiglia di agire ora da uomo (con le leggi) e ora da bestia, come un leone (con la forza) o come una volpe (con l’astuzia).
Da notare, tuttavia, che il principe non deve “essere”, ma “usare” la bestia: la sua durezza cioè non è fine a se stessa, ma volta a salvaguardare la convivenza civile.
Machiavelli, insomma, è un cinico idealista. Considera la politica indipendente dalla morale comune, ma non svincolata da ogni valore; e ritrae un principe, paradossalmente, spregiudicato e integerrimo al tempo stesso.
Da qui, forse, la sua sfortuna. Quelle che per altri erano viltà da voltagabbana, per lui erano modi diversi di servire uno stesso fine: perché i suoi concittadini avevano come valore supremo l’appartenenza ad un partito, e quindi la sconfitta del partito avverso; mentre Machiavelli era disposto anche al compromesso per il bene dello Stato.
Certo la sua teoria ha implicazioni ambigue, ed anche pericolose se estremizzate. Tuttavia ha ancora molto da dirci, sia sulla politica, sia su una virtù trasversale: la duttilità.
Infatti in una società “liquida” è più che mai necessario essere flessibili, agendo in accordo con le circostanze: il che significa anche essere fermi e combattivi, quando c’è da esserlo, e abbastanza astuti da cogliere (o creare) le occasioni. Caratteristiche che, Machiavelli docet, non sono necessariamente cattive: dipende anche dal fine cui sono indirizzate.