SignificatoPrivo di forma; privo di carattere; di sostanza solida, che non ha struttura cristallina
Etimologia dal greco ámorphos ‘informe, deforme’, derivato di morphḗ ‘forma’, con a- privativa.
Una parola alta, perfino tecnica, ma pronta da spendere, forte di un significato semplice e tutto sommato accessibile: infatti, anche se si fa notare immediatamente per ricercatezza, l’usualità del materiale greco che la compone la conserva alla portata di tanti orecchi. Spesso non serve avere grande dimestichezza con una parola per decifrarla, basta saperne leggere gli ingredienti.
L’amorfo è il senza forma. E non nel senso azzimato del grezzo, del poco curato, del poco educato. Immaginiamoci pure direttamente la qualità fisica di un bel blob, una massa informe che spancia senza struttura. E il termine ci predica questa qualità nella maniera più semplice, applicando una ‘a-’ (alfa, in origine) privativa a morphḗ, cioè ‘forma’. Non è molto evidente ma lo stesso termine forma deriva da morphḗ, con una cosiddetta ‘metatesi’, un rovesciamento nell’ordine dei fonemi (da morfé a forma). Piuttosto, ci echeggia nella mente una bella famiglia di parole che contengono questo elemento e ci parlano di forma, dall’antropomorfo (che ha forma d’uomo) alla metamorfosi (il mutamento di forma).
Questa parola ha impieghi tecnici scientifici molto interessanti: si dice amorfo quel solido che non ha una struttura ordinata a lungo raggio come hanno i cristalli, ma che a livello molecolare è sostanzialmente disordinato. Tale disordine ha a che vedere con la rapidità di raffreddamento di una sostanza allo stato liquido, che solidifica senza avere il tempo di costituire un reticolo cristallino: l’esempio più famoso di solido amorfo è il vetro, tanto che in queste discipline ‘amorfo’ e ‘vetroso’ sono sinonimi. Anche l’ossidiana, nella foto che segue, è un solido amorfo, e la sua frattura genera linee di taglio affilate come bisturi.
Ma l’amorfo è una qualità troppo evocativa per non avere anche una dimensione psicologica. Questo suo essere informe ha invitato, e invita perfino in discorsi leggeri, un’analogia poetica, che fa del privo di forma un privo di carattere. Così certo, posso contristarmi del fatto che il mio soufflé è collassato in una massa amorfa, o ammettere che l’effige che sto plasmando nella creta, nonostante l’entusiasmo, risulti in effetti una grottesca patata amorfa; ma l’amica mi dirà d’essere scontenta della tresca amorfa delle ultime settimane, noteremo che la collega invece di spalleggiarci nella critica che abbiamo avanzato d’accordo se ne sta in un silenzio amorfo, e il racconto che leggiamo ci sorprende spiacevolmente con uno stile amorfo.
Insomma, appartiene a un registro che all’ironia si presta proprio bene, e rappresenta una qualità in cui figuratamente colano e si mescolano l’insignificante, l’abulico, l’indifferente — in un’ideale contrapposizione alla forma precisa, che invece porta con sé decisione, carattere, emozione.
Una parola alta, perfino tecnica, ma pronta da spendere, forte di un significato semplice e tutto sommato accessibile: infatti, anche se si fa notare immediatamente per ricercatezza, l’usualità del materiale greco che la compone la conserva alla portata di tanti orecchi. Spesso non serve avere grande dimestichezza con una parola per decifrarla, basta saperne leggere gli ingredienti.
L’amorfo è il senza forma. E non nel senso azzimato del grezzo, del poco curato, del poco educato. Immaginiamoci pure direttamente la qualità fisica di un bel blob, una massa informe che spancia senza struttura. E il termine ci predica questa qualità nella maniera più semplice, applicando una ‘a-’ (alfa, in origine) privativa a morphḗ, cioè ‘forma’. Non è molto evidente ma lo stesso termine forma deriva da morphḗ, con una cosiddetta ‘metatesi’, un rovesciamento nell’ordine dei fonemi (da morfé a forma). Piuttosto, ci echeggia nella mente una bella famiglia di parole che contengono questo elemento e ci parlano di forma, dall’antropomorfo (che ha forma d’uomo) alla metamorfosi (il mutamento di forma).
Questa parola ha impieghi tecnici scientifici molto interessanti: si dice amorfo quel solido che non ha una struttura ordinata a lungo raggio come hanno i cristalli, ma che a livello molecolare è sostanzialmente disordinato. Tale disordine ha a che vedere con la rapidità di raffreddamento di una sostanza allo stato liquido, che solidifica senza avere il tempo di costituire un reticolo cristallino: l’esempio più famoso di solido amorfo è il vetro, tanto che in queste discipline ‘amorfo’ e ‘vetroso’ sono sinonimi. Anche l’ossidiana, nella foto che segue, è un solido amorfo, e la sua frattura genera linee di taglio affilate come bisturi.
Ma l’amorfo è una qualità troppo evocativa per non avere anche una dimensione psicologica. Questo suo essere informe ha invitato, e invita perfino in discorsi leggeri, un’analogia poetica, che fa del privo di forma un privo di carattere. Così certo, posso contristarmi del fatto che il mio soufflé è collassato in una massa amorfa, o ammettere che l’effige che sto plasmando nella creta, nonostante l’entusiasmo, risulti in effetti una grottesca patata amorfa; ma l’amica mi dirà d’essere scontenta della tresca amorfa delle ultime settimane, noteremo che la collega invece di spalleggiarci nella critica che abbiamo avanzato d’accordo se ne sta in un silenzio amorfo, e il racconto che leggiamo ci sorprende spiacevolmente con uno stile amorfo.
Insomma, appartiene a un registro che all’ironia si presta proprio bene, e rappresenta una qualità in cui figuratamente colano e si mescolano l’insignificante, l’abulico, l’indifferente — in un’ideale contrapposizione alla forma precisa, che invece porta con sé decisione, carattere, emozione.