Appercezione

ap-per-ce-zió-ne

Significato Coscienza delle proprie percezioni, percezione della percezione

Etimologia dal latino apperceptio, termine coniato dal filosofo Gottfried Wilhelm von Leibniz, vissuto a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo.

È un termine filosofico che non è facile comprendere in tutte le sfumature in cui sia stato usato da Leibniz in poi, ma non deve spaventare: ha un nocciolo ricco e accessibile, che è bene fare proprio perché è una bomba.

Possiamo approssimare l’appercezione come ‘consapevolezza delle proprie percezioni’. Le sensazioni - cioè le informazioni sensoriali - investono il nostro cervello come una valanga; tali informazioni vengono immediatamente elaborate (scartate, collegate, memorizzate…) nella fase della percezione. Ad esempio, per il fenomeno della pareidolia, vediamo una macchia sul muro e la percepiamo come un ragno.

Di rado la nostra mente compie queste elaborazioni con noi presenti e consapevoli. Quando lo fa, si parla di appercezione, cioè della percezione della percezione: qui l’attenzione sui nostri processi mentali è somma, la consapevolezza profondissima. Facendo qualche esempio, si può avere la chiara appercezione dei profumi di un vino quando euforici ficchiamo il naso nel bicchiere per cercare di discernerli; chiudendo gli occhi nel bosco amico, ci si spalanca la capillare appercezione dei suoni frusciati dagli animali e dalle foglie a terra o sui rami; e l’appercezione della piacevolezza della serata ci colma di un amore intimissimo.

È una forma di autocoscienza: dalla sensazione-informazione, alla percezione-conoscenza, all’appercezione coscienza della conoscenza.

Su suggerimento di chi ci ha invitato a trattare questa parola, vi raccontiamo un suo caso d’uso agghiacciante. Il 9 ottobre del 1963 avvenne il disastro del Vajont. Presidente del consiglio, all’epoca, era Giovanni Leone, che sarebbe poi stato Presidente della Repubblica negli anni ‘70. Nei giorni successivi al disastro si recò di persona sui luoghi devastati dall’esondazione dell’invaso, promettendo giustizia. Nemmeno due mesi dopo il suo governo cadde, e lui, che era anche avvocato, si ritrovò a capo del collegio di avvocati della Sade-Enel, responsabile del disastro. Grazie anche alla sua bravura e al suo peso politico, sostanzialmente nessuna vittima ebbe un risarcimento degno di questo nome, e nessuno dei colpevoli venne punito come avrebbe meritato: stando alla sentenza di primo grado, costoro «sono persone ineccepibili sotto ogni aspetto e la loro colpa sta nel non avere avuto nell’ora suprema l’appercezione e la riflessione, il lampo illuminante dell’imminente pericolo». E birba chi dice il contrario.

Parola pubblicata il 13 Maggio 2016