Astratto
a-stràt-to
Significato Ottenuto per astrazione, isolandolo dal contesto; privo di contatto con la realtà; assorto; separato
Etimologia voce dotta recuperata dal latino abstractus, participio passato di abstràhere, composto di abs- ‘via da’ e tràhere ‘trarre’.
Parola pubblicata il 30 Aprile 2018
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
L’immagine fondamentale dell’astratto è quella del separato, di ciò che è tratto o si trae via - sottinteso dal suo contesto, dalla realtà. E in effetti, tutti i suoi articolati significati sono declinazioni di un isolamento.
Il collega smette di risponderci, astratto nei suoi pensieri. Quel tavolo, astratto dal resto dell’orrenda mobilia, sarebbe anche decente, magari riesci a venderlo. Nel quadro astratto troviamo il rifiuto di mutuare e riprodurre elementi della realtà naturale. Il referente di un sostantivo astratto (la paura, l’intelligenza) non lo posso indicare con il dito. La soluzione che proponi è astratta, va valutato meglio se si adatta al caso. Il biologo si basa su caratteri astratti per riconoscere l’animale che osserva. La capacità di strutturare e usare concetti astratti è un pilastro della versatilità dell’ingegno umano.
Perché l’isolamento dell’astratto non è semplicemente o solo scostante, disinteressato, sconnesso; sa soprattutto essere una sintesi essenziale che induciamo dalla realtà. L’astratto se ne allontana, ma è capace di ripiombarci penetrante e incisivo per spiegarla, per svelarla, per dominarla.
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(G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, parte III, vol. I)
[Piero di Cosimo era] uno spirito molto vario et astratto da gli altri […] Innamorato [dell’arte], non curava de’ suoi comodi, e si riduceva a mangiar continuamente ova sode che, per risparmiare il fuoco, le coceva quando faceva bollir la colla; e non sei o otto per volta, ma una cinquantina, tenendole in una sporta, che consumava a poco a poco. […] Aveva a noia il piagner de’ putti, il tossir de gli uomini […]; e quando diluviava il cielo d’acqua, aveva piacere di veder rovinarla a piombo da’ tetti, e stritolarsi per terra.
Ecco un altro bestseller cinquecentesco, la prima vera storia dell’arte italiana: capostipite di un fortunatissimo filone letterario, ma anche indicatore di una nuova concezione dell’arte.
Infatti nel Rinascimento l’artista incarnava un ideale di equilibrio e misura (ricordiamo la ‘sprezzatura’ di Castiglione). Adesso però siamo entrati nel manierismo, in cui dominano artificio e bizzarria: sia per un desiderio di distaccarsi da regole troppo rigide (è anche il momento della Controriforma), sia per una serpeggiante inquietudine, che sospinge verso i lidi dell’irrazionale. Ecco quindi affiorare quel topos di “genio e sregolatezza” che si affermerà più tardi coi romantici, per arrivare infine a noi.
Ma sarà poi vero questo stereotipo dell’artista astratto dalla vita?
Beh, anzitutto bisogna capire cosa intendiamo. In questo testo astrattezza significa scarsità di legami sociali; infatti Piero di Cosimo vive in una solitudine ascetica, ed è ipersensibile ai suoni della vita comunitaria come il pianto e la tosse. E, se prendiamo il termine in quest’accezione, mi sento incline a generalizzare: una certa difficoltà di integrazione, diciamocelo, è una costante tra artisti e poeti.
Tuttavia se per “astratto” intendiamo slegato dalla realtà, allora il discorso cambia. Cade a fagiolo una frase di Caproni: “La gente intende per poeta un uomo con la testa fra le nuvole. Niente di più falso. Il poeta è un uomo vero, l’uomo più concreto che esista sulla terra. Proprio chi dice di aver la testa sul collo è tra le nuvole: l’uomo d’affari, il politico di professione… Tra le nuvole perché è distratto, è tutto nei suoi problemi e non vede la realtà.”
Forse, allora, l’artista ha bisogno di essere un po’ “astratto” proprio per non essere “distratto”. La sua divergenza dalla normalità è insieme premessa e conseguenza di uno sguardo “vero” sul mondo: uno sguardo che, paradossalmente, può comprendere e interrogare in profondità proprio quegli “altri” da cui si astrae.