Attrezzo

at-tréz-zo

Significato Strumento che serve per un’attività determinata

Etimologia dall’antico francese atraits ‘attratti’, dal verbo latino attrahere ‘tirare a sé’.

La lingua ci conosce allo stesso modo in cui ci conoscono certi nonni e certe nonne — meglio di quanto ci conosciamo noi, e riuscendo a cogliere con saggezza e intuizione alcuni tratti di noi che ci vuole una vita intera a mettere a fuoco. Possiamo vederlo bene nelle parole facili, che parlano in modo inatteso del nostro rapporto col mondo.

In ginocchio, a terra, montando il mobile, hai appena allineato due parti ingombranti, e adesso, mentre le tieni in posizione, devi fissarle con le viti — che hai in mano. Ma dov’è il cacciavite? Laggiù, dall’altra parte della stanza.
Non è un caso che tante volte nelle narrazioni popolari — dai Veda a Star Wars — l’acme drammatica si risolva con la spada che magicamente balza in mano al baldo cavaliere, con la maga che rià la bacchetta, col vajra che torna sempre nella mano del dio Indra e il martello in quella di Thor. È il destino dell’attrezzo.

L’attrezzo, o meglio gli attrezzi nella loro grande varietà costituiscono una nebulosa di oggetti che accompagna le nostre giornate. Si avvicendano nelle nostre mani, ci stanno intorno come assistenti, ci seguono in ordine.
Etimologicamente emerge proprio questa sfumatura plurale e satellitare: il nostro ‘attrezzo’ nasce dal francese antico atraits, un plurale che alla lettera significa ‘attratti’ — sì, proprio ‘attratti’, dal verbo latino attrahere, ‘tirare a sé’. Gli attrezzi, insieme, sono un equipaggiamento, una serie di strumenti che ti porti dietro, di cui sei centro, che chiami alla mano continuamente; inversione curiosissima, ma a ben vedere inevitabile, il concetto singolare di ‘attrezzo’ è ricavato dal plurale. Proprio per questo, forse, non è banale distinguere ciò che è ‘attrezzo’ da ciò che non lo è.

Un bastone non è un attrezzo, perché deve essere uno strumento che serve per un’attività determinata. Un cacciavite è un attrezzo, ma le punte intercambiabili del cacciavite, da sole, no. L’attrezzo deve servire a un’attività determinata ed essere un’unità funzionante. Una frusta, un cavatappi, un pelapatate sono difficili da escludere dalla categoria degli attrezzi, ma preferiamo usare per loro il nome ‘utensili’, pare più aggraziato — l’attrezzo deve servire a un’attività determinata, essere un’unità funzionale e anche un po’ rude, magari sporchetto. Infatti anche se lo studio dentistico è ben attrezzato, forse non diremmo che sono stati usati nove diversi attrezzi per intervenire sul nostro molare. Piuttosto officine, laboratori di falegnameria, campi pullulano di attrezzi.
Invece in palestra gli attrezzi sono tradizionalmente la roba più elegante e linda che vi si trova: parallele, sbarre, cavalli, cerchi. Anche se il concetto, da rétro che era, si è esteso praticamente a tutta l’attrezzatura che serve a fare esercizio. E quali sono gli attrezzi delle spiagge attrezzate, le docce? La sdraio è un attrezzo? Oppure è solo attrezzatura, o invece attrezzamento?

L’attrezzo è stato incalzato verso la singolarità, anche se è nato ‘attrezzi’, plurale e nebuloso — e così incalzato determina qualche arbitrio e qualche incoerenza nell’uso linguistico. Sopportabile, beninteso: tanto di solito i singoli attrezzi, attratti a noi da noi e che usiamo per agire su tutto il reale della nostra vita, sono chiamati il coso. O quel coso quando cerchiamo una sfumatura di precisione.

Parola pubblicata il 15 Marzo 2022