Bello
bèl-lo
Significato Esteticamente gradevole
Etimologia dal latino bellus ‘carino’, diminutivo di bonus.
Parola pubblicata il 17 Aprile 2017
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
Questo è un esempio lampante di come una parola che sembra facile e luminosa possa invece essere scivolosa e difficile.
Intuitivamente sappiamo benissimo di che si tratta, ma del bello si possono dare solo delle definizioni molto generiche: spingersi oltre al gradevole da un punto di vista estetico, sia sensuale sia intellettuale, significa tagliare fuori alcuni impieghi di questo versatile attributo - che senza sovrapposizioni può essere attraente (un bell’uomo), armonioso (un bel loggiato), efficace (una bella risposta), piacevole (una bella serata), lieto (una bella notizia, un bel periodo), notevole (una bella somma) e altro ancora.
Ora, il bellus latino non aveva il respiro del pulcher o del formosus (che in italiano non hanno quasi avuto esito, a differenza di altre lingue romanze): era un termine affettuoso, famigliare, prossimo al nostro ‘carino’. Inoltre scaturisce come diminutivo da bonus, cioè ‘buono’: c’è quindi una confusione genetica fra questi due concetti, che spesso si sovrappongono (tutti gli esempi fatti sopra, a parte quello che riguarda il bello-attraente e in una certa misura quello sul bello-armonioso, possono essere ristrutturati sul buono senza che se ne perda il senso).
L’aggettivo ‘bello’ è un iperonimo colossale, cioè una parola generale che ne contiene molte altre - così come esistono decine di tipi di ‘blu’. Come tutti gli iperonimi è economico e chiaro, ma carente di specificazione. Insomma, è una parola su cui non adagiarsi pigramente e da usare in maniera sorvegliata, perché è la precisione delle parole a schiudere la potenza del pensiero e la grazia dell’espressione: quando ci viene da usare ‘bello’, domandiamoci «In che senso ‘bello’?»; e quando abbiamo la risposta, usiamo quella.
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(La sera fiesolana, Gabriele D’Annunzio, vv. 39-48)
E ti dirò per qual segreto
le colline sui limpidi orizzonti
s’incurvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
[…] sì che pare
che ogni sera l’anima le possa amare
d’amor più forte.
D’Annunzio è uno strano personaggio: così duro e superbo, sa infondere nelle sue poesie una sorprendente tenerezza. Ne La sera fiesolana, inoltre, egli dispiega come sempre il suo virtuosismo poetico (vocaboli ricercati, armonie foniche…) Ma, proprio al centro della strofa conclusiva, mette una parola che è sulle labbra di tutti: belle.
Avrebbe potuto scegliere alternative più auliche; eppure nessuna avrebbe avuto la stessa efficacia di Questo termine così abusato. Con quella B iniziale, scoppiettante di stupore, e la lunga carezza della L. Una parola semplicissima, ma che contiene un mondo.
Com’è, allora, la bellezza secondo D’Annunzio?
Sicuramente è intessuta di affetti: la passione per la donna, con la quale il poeta è in viaggio. E soprattutto l’attaccamento al paesaggio toscano, nel quale tutti – anche i viaggiatori – si sentono a casa. La comunione con la natura si esprime soprattutto nella figura retorica della personificazione, che fonde i due affetti in un unico amore.
Tuttavia la bellezza dannunziana è anche malinconica, poiché racchiude il presentimento della propria fine. La sera, infatti, è una tradizionale metafora della vecchiaia. Più in generale, l’esperienza del bello rafforza la consapevolezza del nostro limite (come se qualcosa ci «vietasse» l’accesso). Come l’orizzonte, la bellezza ci sfugge nell’attimo stesso in cui la cogliamo.
D’altra parte, la bellezza è tale proprio perché comunica un mistero, e forse una promessa. Percepiamo in lei qualcosa di infinito, che supera la nostra esperienza comune; e, per un momento, ci sembra di poter accedere al cuore delle cose.
In fondo è l’attesa di una “rivelazione” che rende davvero «belle» le colline. Similmente, Soloviev osservava che la bellezza del diamante non è data dalla pietra in sé. La composizione chimica infatti è la stessa del carbone, ma il diamante lascia passare la luce: «Attraverso di esso si vede qualche altra cosa, superiore alla pietra, che la fa bella.»